sabato 12 settembre 2020

1000 Gran Premi iridati della Ferrari. Ecco invece quelli che ha saltato


Finora la Ferrari ha corso 999 Gran Premi sul totale di 1026 validi per il Mondiale di Formula 1 e domenica prossima al Mugello festeggerà il millesimo. La casa di Maranello ne ha quindi saltati solo 27 in tutta la storia. Vediamo quali sono stati.


GRAN PREMIO DI GRAN BRETAGNA E D’EUROPA 1950

Il primo Gran Premio che assegnava punti per il titolo iridato piloti fu quello corso a Silverstone il 13 maggio 1950 ma la Ferrari non lo disputò perché il Drake, Enzo Ferrari, giudicò troppo basso l’ingaggio offerto dagli organizzatori inglesi. La casa di Maranello non portò vetture ufficiali nel Gran Premio di Francia del 2 luglio dello stesso anno ma il britannico Peter Whitehead gareggiò con la sua vettura del cavallino privata, per cui la gara di Reims non è compresa in questo elenco.


GRAN PREMIO DI GRAN BRETAGNA 1959

Questo, disputato il 18 luglio 1959 a Aintree, fu il primo di alcuni Gran Premi disertati dalla Ferrari per uno sciopero degli operai in fabbrica, che non permise l’adeguata messa a punto delle vetture. Al pilota di punta del cavallino, il beniamino di casa Tony Brooks, vincitore tra l’altro del Gran Premio precedente, quello di Francia, e di quello successivo in Germania al volante della Rossa di Maranello, fu permesso di gareggiare al volante di una Vanwall, vettura con cui aveva corso nei due anni precedenti, ma si ritirò al 14° giro per problemi al motore. Anche a causa di questo forfait il pilota inglese perderà il titolo mondiale a favore di Jack Brabham sulla sua Cooper con motore Climax posteriore.


GRAN PREMIO DEGLI STATI UNITI 1960

Enzo Ferrari, a campionato già abbondantemente chiuso e privo di soddisfazioni a parte il dominio nel Gran Premio d’Italia del 4 settembre, peraltro disertato dalle scuderie inglesi per protesta contro la pericolosità dell’anello sopraelevato ad alta velocità, decise di non effettuare la trasferta oltreoceano per la gara di Riverside del 20 novembre 1960 e di concentrare gli sforzi del team sulla nuova vettura che, con un nuovo regolamento (cilindrata dei motori ridotta da 2500 a 1500 cc) avrebbe dominato il mondiale dell’anno successivo.


GRAN PREMIO DEGLI STATI UNITI 1961

Stesso copione dell’anno precedente, con la differenza che la Ferrari non disputa la gara dell’8 ottobre 1961 a Watkins Glen perché il titolo è già assegnato al suo pilota, lo statunitense Phil Hill, molto amareggiato per non poterlo festeggiare davanti al suo pubblico, ma soprattutto a causa della morte insieme a 14 spettatori il 10 settembre precedente a Monza dell’altro ferrarista Wolfgang von Trips: Enzo Ferrari, travolto dalle polemiche seguite all’incidente, decide di far rimanere a casa i suoi piloti.


GRAN PREMIO DI FRANCIA 1962

Uno sciopero generale sindacale impedisce la partecipazione alla corsa dell’8 luglio 1962 sul circuito di Rouen-les-Essarts alla scuderia del Drake.


GRAN PREMIO DEGLI STATI UNITI 1962

Per il terzo anno consecutivo la Ferrari diserta la gara oltre Atlantico: nessun pilota della casa di Maranello è in corsa per il titolo mondiale e quindi, per loro, niente gara a Watkins Glen il 7 ottobre 1962.


GRAN PREMIO DEL SUDAFRICA 1962

Idem come sopra: la casa di Maranello rinuncia anche alla prima gara iridata sudafricana della storia della Formula 1 a East London il 29 dicembre 1962. Per la prima e unica volta la Ferrari ha saltato tre gare (su nove!) in un solo anno.


GRAN PREMIO DI GRAN BRETAGNA 1966

Altro sciopero dei metalmeccanici e altro forfait della casa di Maranello, che non corre sullo stupendo circuito di Brands Hatch il 16 luglio 1966.


GRAN PREMIO DEL MESSICO 1966

Già dal precedente Gran Premio degli Stati Uniti la Ferrari aveva annunciato che avrebbe disertato l’ultima gara dell’anno, il 23 ottobre 1966 sul circuito Magdalena Mixuca di Città del Messico. Il Drake, oltretutto ancora amareggiato per la disfatta nella 24 ore di Le Mans che aveva visto il trionfo della Ford, rinunciava spesso alle ultime gare stagionali quando era fuori dalla lotta per il titolo sia piloti che costruttori, per fortuna questa sarà l’ultima.


GRAN PREMIO DEL SUDAFRICA 1967

Oltre all’ultima dell’anno precedente, la casa del cavallino rampante salta anche la prima gara del 1967, disputata il 2 gennaio 1967 sul circuito di Kyalami, per la prima volta sede di un Gran Premio iridato. A causare il forfait è l’ennesimo sciopero sindacale.


GRAN PREMIO DI MONACO 1968

Ancora scottato dalla morte, l’anno precedente, di Lorenzo Bandini alla chicane del porto monegasco tra le fiamme della sua Ferrari il Drake rinuncia alla corsa del 26 maggio 1968. Le ragioni non vengono spiegate ma si pensa che il commendatore ritenga insufficienti le misure di sicurezza del tracciato di Montecarlo, tra cui lo spostamento in avanti della chicane e la decisione di accorciare il Gran Premio da 100 a 80 giri per evitare l’eccessiva stanchezza dei piloti: l’incidente di Bandini era avvenuto all’82° giro. Altri ipotizzano che la cifra di ingaggio non sia stata ritenuta sufficiente dai vertici di Maranello.


GRAN PREMIO DI GERMANIA 1969

Viste le disastrose prestazioni dell’ultima versione della 312 nelle prime gare stagionali (solo 4 punti iridati, corrispondenti a un terzo posto in Olanda di Chris Amon, che abbandonerà la casa di Maranello prima della fine dell’anno), la Ferrari decide di concentrarsi sullo sviluppo della nuova 312B con motore boxer, che peraltro debutterà solamente l'anno dopo, e salta il Gran Premio del Nurburgring del 3 agosto 1969.


GRAN PREMIO D’OLANDA 1973

Come quella del 1969 la stagione della Ferrari si rivela disastrosa: la seconda versione della 312B3, quasi contemporanea alla cosiddetta “Spazzaneve” che non gareggiò mai, non va avanti neanche a spingerla, tanto da non portare mai i suoi piloti sul podio. Pertanto le Rosse non partecipano alla corsa sul circuito di Zandvoort del 29 luglio 1973.


GRAN PREMIO DI GERMANIA 1973

L’assenza della Ferrari si prolunga per il secondo Gran Premio consecutivo dato che la scuderia preferisce sviluppare la monoposto per la stagione successiva, quando la 312B3, nella sua terza e ultima versione, sarà finalmente competitiva per il titolo. Ma il 5 agosto 1973 sul Nurburgring il pilota di punta di Maranello, Jacky Ickx, viene prestato alla McLaren con la quale ottiene un grande terzo posto.


GRAN PREMIO D’AUSTRIA 1976

Il 15 agosto 1976 è in programma a Zeltweg la gara di casa di Niki Lauda, campione del mondo in carica e nettamente in testa al mondiale, ma rimasto gravemente ferito nell’incidente del Nurburgring dell’1 agosto. Il 5 il fuoriclasse austriaco, ricoverato all’ospedale di Mannheim ma già cosciente da un paio di giorni, viene dichiarato fuori pericolo, ma contemporaneamente Enzo Ferrari annuncia con effetto immediato la sospensione della partecipazione al campionato del mondo. In pratica la Ferrari si ritirava dalle corse a tempo indeterminato. Un colpo di scena clamoroso, dettato, a dire del Drake, dalle decisioni della FIA contrarie alla Scuderia relative agli ordini di arrivo del Gran Premio di Spagna e di Gran Bretagna, la cui vittoria venne assegnata in entrambi i casi da Hunt (ma la seconda sentenza verrà poi ribaltata e la vittoria assegnata a Lauda dopo la squalifica dell’inglese). Ferrari esprimeva anche una grande contrarietà perché tutto l’ambiente dell’automobilismo gli era contro, compreso quello italiano, rappresentato da ACI e CSAI (Commissione Sportiva Automobilistica Italiana). La mossa ebbe la conseguenza di attrarre dalla propria parte l’automobilismo italiano tutto e anche parte di quello internazionale, e il 14 il Drake annunciò l’eventualità di un ritorno, precisando che lui sarebbe andato avanti per la propria strada se fosse dipeso da lui, ma facendo ormai parte dal 1969 di una famiglia più grande, ossia la Fiat, avrebbe dovuto rimettersi alle sue decisioni. E infatti il 23 il consiglio di amministrazione della Ferrari, targato Fiat, votò per il ritorno alle corse già dal Gran Premio d’Olanda del 29 agosto, e Ferrari, astenutosi dal voto, ne uscì senza danni, anzi, implicitamente risultò come colui che si era dovuto piegare alla volontà di chi stava sopra di lui anche dal punto di vista agonistico e non solo amministrativo. Ma intanto il Gran Premio d’Austria si era disputato senza la casa di Maranello. Questo fu il forfait più controverso da parte della Ferrari. Per conto mio, dato che alla fine dell’anno Hunt vinse il mondiale con un solo punto su Lauda, tornato clamorosamente alle corse a Monza sei settimane dopo l’incidente, la decisione del ritiro a tempo indeterminato fu un errore gravissimo, visto che in Austria Hunt, in grande rimonta su Lauda nella classifica mondiale, dovette accontentarsi del quarto posto pur senza piloti Ferrari a contrastarlo, e che in Olanda corse solo Regazzoni, che fu secondo proprio dietro l’inglese. Un altro fattore che pesò immensamente fu il mancato temporaneo ingaggio di un altro pilota, che si concretizzò solo a Monza con Carlos Reutemann. Prima Ferrari contattò Emerson Fittipaldi, che rifiutò, poi la March gli offrì in prestito Vittorio Brambilla e stavolta fu il Drake a rifiutare. Infine fu messo nel mirino Ronnie Peterson ma qui fu lo stesso Lauda, spalleggiato da Luca di Montezemolo e dai vertici Fiat, a porre il veto. C’è chi ha raccontato che il colloquio tra Niki e l’ex (in quel momento) direttore sportivo della Ferrari, sia avvenuto addirittura il 4 agosto a Mannheim in ospedale e che Ferrari, venuto a sapere del “nicht" di Lauda sia andato su tutte le furie con la proprietà Fiat e che questa sia stata la goccia che fece traboccare il vaso e che gli fece annunciare la sospensione dall’attività il giorno dopo.


GRAN PREMIO DEL BELGIO 1982

L’8 maggio 1982 durante le qualificazioni sul circuito di Zolder Gilles Villeneuve disintegra la sua Ferrari e se stesso in un terrificante incidente in cui è coinvolto quasi inconsapevolmente anche Jochen Mass con la sua March, il canadese come al solito stava andando oltre il limite per battere il compagno di squadra Didier Pironi, che lo aveva beffato due settimane prima a Imola e dal quale si era sentito tradito. La tragica morte di Gilles, che sarebbe dovuto partire dall’ottava posizione in griglia e Pironi dalla sesta, porta la Ferrari a rinunciare alla gara in segno di lutto.


GRAN PREMIO DI SVIZZERA 1982

Il 7 agosto, nelle qualificazioni del Gran Premio di Germania a Hockenheim, Pironi, leader del mondiale, ha un incidente molto simile a quello di Villeneuve volando oltre la Renault di Alain Prost e la ricaduta a terra gli costa fratture gravissime alle gambe e la fine della carriera in Formula 1. Il suo connazionale Patrick Tambay, sostituto di Gilles, vince la corsa, una settimana dopo è quarto in Austria con l’unica Ferrari in gara. Sempre da solo, dato che la casa di Maranello non ha ancora trovato un uomo col quale rimpiazzare Pironi, si presenta sul circuito francese di Digione per il Gran Premio elvetico del 29 agosto. Ma Patrick ha un forte dolore alle vertebre cervicali con interessamento del nervo radiale destro, conseguenza di un vecchio incidente, e nelle qualificazioni del venerdì ottiene il nono tempo indossando un collare e, dopo le libere, decise di non disputare la sessione di qualificazione del sabato. Purtroppo per Tambay il dolore lo costrinse a rinunciare alla gara. La Ferrari, ultimo episodio di una stagione maledetta, saltò in questo modo per l’ultima volta un Gran Premio iridato, disputandone poi 655 consecutivi, che domenica diventeranno 656.


500 MIGLIA DI INDIANAPOLIS 1950, 1951, 1953, 1954, 1955, 1956, 1957, 1958, 1959 e 1960

Chi di voi ha avuto la forza e la pazienza di riuscire a leggere queste righe fino a qui si sarà accorto che i Gran Premi mondiali disertati dalla Ferrari da me elencati sono 17 e non 27. No, non mi sono sbagliato: la casa di Maranello saltò infatti anche dieci delle undici edizioni della 500 miglia di Indianapolis che dal 1950 al 1960 furono valide per il titolo mondiale. I motivi sono ovvi: Ferrari non voleva sobbarcarsi una trasferta che avrebbe visto le sue vetture confrontarsi con altre completamente diverse e molto più adatte all’ovale dell’Indiana. Solo una volta il Drake tentò l’avventura a Indy: il 30 maggio 1952 Alberto Ascari, che a fine anno conquisterà il titolo iridato, si presentò al via al volante di una 375S con motore V12 di 4500 cc, evoluzione della 375 con cui aveva gareggiato nel mondiale dell’anno prima. Il milanese partì in settima fila con la diciannovesima somma di tempi dei suoi quattro giri in qualificazione, ma in gara, al 41° dei 200 giri totali, gli si ruppe il cuscinetto di una ruota e fu costretto al ritiro. Altre tre Rosse dello stesso modello erano iscritte, sotto i colori di altre scuderie, ma o non scesero nemmeno in pista o non riuscirono a qualificarsi.


Foto: Instagram Scuderia Ferrari

mercoledì 9 settembre 2020

Monaco 1950, il primo dei (quasi) 1000 Gran Premi iridati della Ferrari


Domenica prossima sul circuito del Mugello, sede inedita di un Gran Premio del campionato del mondo di Formula 1, la Ferrari festeggerà (si fa per dire, vista la disastrosa situazione attuale del team) il 1000° Gran Premio iridato della sua storia. Ma qual è stato il primo disputato dalla casa di Maranello? Non fu quello di Gran Bretagna e d’Europa del 13 maggio 1950, di cui ho già parlato qui, che Enzo Ferrari decise di disertare perché riteneva troppo basso l’ingaggio offertogli dagli organizzatori, bensì quello immediatamente successivo, quello di Monaco del 21 maggio 1950, che vale la pena di raccontare.


In quell’occasione la Scuderia Ferrari schierò tre vetture ufficiali modello 125 con motore 12 cilindri a V di 1500 cc sovralimentato e con al volante i milanesi Alberto Ascari e Luigi Villoresi e il francese Raymond Sommer. A queste si aggiunse una quarta vettura dello stesso tipo pilotata dal suo proprietario, il britannico Peter Whitehead, il primo a cui il Drake cedette una vettura di Formula 1, che però a causa di molteplici problemi meccanici durante le prove non parteciperà alla gara. Le favoritissime erano le Alfa Romeo 158 dominatrici la settimana precedente a Silverstone con tre vetture ai primi tre posti, guidate nell’ordine da Giuseppe “Nino” Farina, Luigi Fagioli e Reg Parnell, che doppiarono di almeno due giri tutti gli avversari, e che sarebbero state quattro se l’argentino Juan Manuel Fangio non avesse dovuto ritirarsi a otto giri dal termine. I tre F, Farina, Fangio e Fagioli, difesero i colori della casa del Portello anche nel Principato.


C’erano anche le Maserati, le due ufficiali con Franco Rol e il monegasco Louis Chiron, due della scuderia Achille Varzi con gli altri due argentini Froilan Gonzales e Alfredo Pian (che darà forfait a causa di un incidente nelle prove del sabato che gli costerà una frattura a una gamba), e sei Talbot Lago, delle quali però solo tre gareggeranno, con i francesi Philippe Etancelin e Louis Rosier e il belga Johnny Claes, senza dimenticare le due Simca-Gordini coi due transalpini Robert Manzon e Maurice Trintignant, le Maserati della Scuderia Enrico Platé col principe thailandese Bira e lo svizzero Emmanuel de Graffenried, le britanniche ERA di Bob Gerard e Cyth Harrison e l’innovativa Cooper motorizzata JAP guidata dallo statunitense Harry Schell e col propulsore posizionato nella parte posteriore della vettura.


Le qualificazioni si svolgono, come da tradizione nel Principato, il giovedì e il sabato, e gli organizzatori stabiliscono che i primi cinque della sessione del primo giorno occuperanno le prime due file della griglia di partenza. Questo regolamento penalizza nettamente la Ferrari, che arriva a Montecarlo solo per le prove del sabato. Fangio il giovedì ottiene il miglior tempo in 1’50”2 a 103,884 km/h, una media che oggi fa sorridere anche per un circuito tortuoso come quello monegasco. Farina è secondo a 2”6 mentre Gonzales completa la prima fila, in seconda c’è il bravo Etancelin mentre la terza Alfa, quella di Fagioli, è quinta.


Il sabato scendono in pista finalmente le Ferrari e le Simca-Gordini, anch’esse assenti 48 ore prima. Nessuno dei primi cinque si migliora tranne Fagioli che con 1’51”7 stacca il secondo miglior tempo assoluto delle due giornate. A realizzare il terzo crono, mezzo secondo meglio di Farina, è Villoresi, ma il pilota della Ferrari dovrà accontentarsi della sesta posizione e della terza fila in griglia, così come Fagioli è costretto a partire quinto, Ascari realizza invece il sesto tempo assoluto ma partirà in settima posizione, Sommer dal canto suo è nono e si avvierà in quarta fila. Per giunta la sessione viene sospesa prima della fine a causa di una cospicua perdita d’olio della Ferrari di Ascari.


La domenica della gara è caratterizzata da un sole splendido. Al via Fangio scatta in testa davanti a Gonzales, Villoresi e Farina, alla curva della stazione, ora nota come tornante del Grand Hotel, e prima ancora curva Loews, Villoresi supera Gonzales e poco dopo, nel tunnel, ci riesce anche Farina. Alla curva del tabaccaio però un po’ d’acqua di un’onda del mare si deposita sulla strada e il torinese, forse anche per una toccata con l’argentino o forse contro il muro, va in testacoda e Gonzales lo urta. Fagioli, che sopraggiunge, riesce a evitare i due ma si gira a sua volta e viene investito da Rosier, si sviluppa così un colossale incidente che vede coinvolti e costretti al ritiro Manzon, De Graffenried, Trintignant, Harrison, Rol (che si ferisce a un braccio) e Schell, oltre a Farina.


Fagioli riesce a ripartire ma solo per arrivare ai box e ritirarsi, Gonzales invece completa il primo giro alle spalle di Fangio e Villoresi e davanti a Chiron, Ascari, Sommer, Etancelin, Bira, Claes e Gerard. I primi due arrivano sul luogo dell’incidente senza essere informati di nulla e i commissari, invece di interrompere la gara con la bandiera rossa, espongono solo quella gialla, fatto sta che Fangio, che è il numero uno assoluto a districarsi in queste situazioni ingarbugliate, riesce a evitare tutti gli altri senza alcun problema e da quel momento nessuno lo rivedrà più fino a fine gara se non quando qualcuno subirà il doppiaggio da parte sua. Villoresi invece rimane bloccato, gli si spegne anche il motore e riparte in ultima posizione, mentre Gonzales va a sbattere alla curva del gasometro, il serbatoio si rompe e la Maserati prende fuoco, l’argentino salta subito fuori dalla vettura ma subisce ustioni di secondo grado al braccio.


In seconda posizione balza così Sommer davanti a Chiron e Ascari ma il milanese al terzo giro prende lui la piazza d’onore, mentre Villoresi rimonta furiosamente tanto che al 12° giro è già terzo dopo aver scavalcato Sommer, il ferrarista e il suo compagno di squadra e concittadino Ascari. Dal 31° al 33° passaggio i due si alternano in seconda posizione, poi al 36° Villoresi effettua il rifornimento seguito il giro seguente da Ascari che impiega cinque secondi in più e deve cedere la seconda posizione. Poco dopo metà gara (prevista su 100 giri) Fangio, che ha un vantaggio abissale su tutti, effettua il rifornimento e quando rientra in pista ha ancora 32 secondi di margine su Villoresi che poco dopo però viene superato da Ascari e al 64° giro si deve ritirare per la rottura dell’assale posteriore. Al 37° giro si era ritirato anche Etancelin, quando era sesto dietro a Chiron e a Sommer, per la rottura di un condotto dell’olio.


Fangio stabilisce anche il giro più veloce della corsa in 1’51”0 e dopo oltre tre ore taglia il traguardo con una media di 98,701 km/h, unica gara non interrotta sotto i 100 orari della storia della Formula 1. L’argentino diventa il primo a completare il Grand Chelem in un Gran Premio iridato, ossia pole position, vittoria, giro più veloce e in testa dall’inizio alla fine, e appaia Farina in vetta alla classifica del campionato precedendo Ascari di un giro, Chiron di due, Sommer di tre, Bira, quinto e ultimo in zona punti, di cinque, Gerard e Claes di sei: solo 7 vetture su 19 hanno visto la bandiera a scacchi! Nuova vittoria dell’Alfa Romeo che però non è riuscita a dominare a causa dell’incidente a inizio gara, mentre la Ferrari, pur surclassata in prestazioni e affidabilità dalla rivale milanese, non ha sfigurato al suo esordio iridato piazzando due vetture tra le prime quattro. Tutto quello che è seguito fino a oggi per la casa di Maranello, come si suol dire, è storia.

sabato 5 settembre 2020

50 anni fa moriva a Monza Jochen Rindt, campione del mondo alla memoria


Il 5 settembre 1970 è una giornata che è diventata tragicamente storica: nelle qualificazioni del sabato della vigilia del Gran Premio d’Italia a Monza moriva Jochen Rindt, che un mese dopo diventerà, oltre che il primo iridato austriaco di Formula 1, anche il primo, e finora unico (per fortuna) campione del mondo alla memoria.


Rindt era nato il 18 aprile 1942 a Magonza, in Germania, da padre tedesco e madre austriaca. Nel 1943 perse entrambi i genitori, che morirono sotto i terribili bombardamenti alleati di Amburgo, e fu affidato ai nonni materni, residenti a Graz, città austriaca capoluogo del Land della Stiria, dove il piccolo Jochen crebbe. Si appassionò alle corse automobilistiche e fin dalle categorie minori mise in mostra una guida coraggiosa e aggressiva che ha pochi eguali nella storia.


Esordì in Formula 1 molto giovane nel Gran Premio di casa del 1964 al volante di una Brabham motorizzata BRM della scuderia di Rob Walker. Dopo aver vinto nel 1965 la 24 ore di Le Mans alla guida di una Ferrari 250 LM, e mentre fa incetta di vittorie in Formula 2, comincia a prendersi qualche soddisfazione in Formula 1 nel 1966 conquistando due secondi e un terzo posto con una Cooper motorizzata Maserati sfiorando il successo in Belgio, sul vecchio, fantasmagorico e ultraveloce circuito di Spa-Francorchamps, e chiude terzo il campionato. Le due stagioni successive però sono difficili, nella seconda delle quali, con una Brabham con motore Repco, binomio che aveva vinto gli ultimi due mondiali, raccoglie solo due terzi posti, conquistando però le prime due delle sue dieci pole position in carriera.


Nel 1969 passa alla Lotus di Colin Chapman ma l’inizio del campionato è drammatico: nel Gran Premio di Spagna al Montjuich gli si stacca l’alettone posteriore, che aveva enormi dimensioni, e la vettura vola contro le barriere e si ribalta colpendo la vettura del suo compagno di squadra e iridato in carica Graham Hill, ferma a bordo pista perché aveva avuto la stessa identica rottura meccanica. Rindt miracolosamente se la cava con una lieve commozione cerebrale e la frattura del naso. Dopo questo incidente le dimensioni degli alettoni verranno regolamentate e notevolmente ridotte. Piano piano Jochen si riprende, è sempre velocissimo in qualificazione tanto da conquistare cinque pole position, e verso la fine della stagione è secondo a Monza, battuto di un soffio in volata dal suo grande amico Jackie Stewart, e terzo in Canada, poi finalmente coglie la prima vittoria a Watkins Glen, negli Stati Uniti, partendo dalla pole e stabilendo anche il giro più veloce. In campionato finisce al quarto posto.


Ma è il 1970 a proiettarlo definitivamente nell’Olimpo. Chapman ha un’arma letale, sia per gli avversari sia, come vedremo, per i suoi stessi piloti, da mettere in pista: è la Lotus 72, una monoposto rivoluzionaria a livello aerodinamico caratterizzata dalla parte anteriore che viene ribattezzata “a cuneo”. L’esordio della vettura in Spagna, a Jarama, è negativo, tanto che Rindt torna alla vecchia 49C, con la quale vince il Gran Premio di Monaco grazie a un incredibile errore del vecchio Jack Brabham, che quando è in testa ma insidiato dall’austriaco all'ultimo giro della corsa sbaglia la frenata e va a sbattere contro il guard-rail di quella che era allora l’ultima difficoltà del circuito di Montecarlo, la curva del gasometro. Due Gran Premi più tardi Rindt torna al volante della 72 che ora, nella sua ultimissima versione, la C, diventa imbattibile: vince quattro gare consecutive in Olanda, Francia, Gran Bretagna e Germania, e la serie si interrompe proprio a casa sua, in Austria, quando viene tradito dal motore in quello che diventerà, purtroppo, il suo ultimo Gran Premio, il 60°.


E si arriva a quel maledetto 5 settembre a Monza: sono da poco passate le 15,15 quando Rindt sta effettuando il quinto giro consecutivo della sua seconda giornata di qualificazioni per il Gran Premio d'Italia per cercare un tempo che lo porti nelle zone alte della griglia di partenza. Arriva alla staccata della Parabolica e la sua Lotus 72, quando Jochen tocca i freni, comincia a sbandare più volte a destra e a sinistra (ma alcuni testimoni dissero che queste sbandate non ci furono), infine, quasi all’entrata curva, punta dritto contro il guard-rail alla sua sinistra. L’impatto, a circa 240 all'ora, è devastante: la gomma anteriore sinistra si stacca, il musetto striscia impercettibilmente (a causa della velocità con cui accade tutto) contro la barriera, poi la gomma anteriore di destra si stacca a sua volta di netto finendo in una buca probabilmente scavata in precedenza dai tifosi sotto il guard-rail, la buca è in corrispondenza di un paletto di sostegno che fa da perno, l'avantreno si disintegra all'istante e la vettura senza controllo effettua numerosi testacoda nella sabbia all’esterno della curva dove alla fine si ferma. La scena che si presenta ai soccorritori è terrificante: Rindt è quasi disteso sul sedile e le sue gambe sono esposte, perché la scocca anteriore non c’è più. Nell’impatto si è fratturato il piede sinistro ma soprattutto ha subito una ferita mortale al torace causata dal piantone dello sterzo, contro cui Rindt va a sbattere, inoltre le cinture di sicurezza si rompono ferendolo al collo. Trasportato d’urgenza all’Ospedale Niguarda a Milano, non si poté far altro che accertarne il decesso. La causa dell’incidente è ancora incerta: una delle ipotesi più accreditate è che si sia spaccato l'albero che collega l'impianto frenante alle ruote anteriori facendo perdere completamente il controllo della vettura al pilota.


In occasione del Gran Premio di Gran Bretagna a Brands Hatch di un mese e mezzo prima, vinto nelle ultimissime battute ancora una volta ai danni di Brabham, rimasto senza benzina, Rindt dichiarò: “Quest’anno ho troppa fortuna, comincio a essere preoccupato”. Si rivelò una tragica profezia. Il 28enne austriaco, al momento della morte e con quattro gare ancora da disputare, aveva 20 punti di vantaggio su Brabham, 25 su Denny Hulme, che sulla sua McLaren assistette inorridito all’incidente in quanto subito alle spalle di Rindt e venendo anche sfiorato dalla gomma anteriore sinistra impazzita della Lotus, e 26 su Stewart e sul portacolori della Ferrari Jacky Ickx. Sarà quest’ultimo, già vincitore in Austria davanti al compagno di squadra Clay Regazzoni, a recuperare la maggior parte del distacco accumulato da lui e da tutti gli altri nei confronti di Rindt. Il belga primeggerà infatti anche in Canada e in Messico, sempre con il ticinese secondo, ma si ritirerà a Monza, dove a vincere per la prima volta in Formula 1 sarà proprio Regazzoni, 31 anni compiuti, guarda la coincidenza, proprio 24 ore prima e letteralmente portato in trionfo a fine corsa dai tifosi del Cavallino impazziti per la gioia e completamente dimentichi della tragedia del sabato. La gara che però assegnerà matematicamente a Rindt il titolo postumo sarà la penultima di quell’anno, il Gran Premio degli Stati Uniti del 4 ottobre a Watkins Glen, proprio dove Jochen aveva vinto la sua prima corsa iridata dodici mesi prima, e ancora una volta si tratterà di un primo successo in carriera: a trionfare sarà infatti quello che era diventato di fatto il sostituto di Rindt, il giovane brasiliano Emerson Fittipaldi. Ickx si dovrà accontentare del quarto posto e dopo la doppietta Ferrari in Messico Rindt risulterà vincitore del titolo con 5 punti su Ickx e 12 su Regazzoni. Una stagione tragica ma che andrà giustamente a premiare colui che nell'arco dell'anno era stato nettamente il più forte.

sabato 8 agosto 2020

Un ordinario, o quasi, sabato di sport

Un breve (spero) resoconto semiserio (più serio che semi) del mio sabato sportivo odierno davanti alla tv, anzi, davanti a due computer, tipico del più tipico italiano medio sedentario quale sono sempre stato. Una giornata che, come ho già scritto in una storia di Instagram, mi ha fatto tornare ragazzino, oppure ai tempi di quando ero in una redazione multisport. Un bel segno, perché lo sport sta finalmente ripartendo, nonostante la situazione Covid sia tutt’altro che tranquilla.

Da questo resoconto rimane esclusa la Champions di stasera, ma anche questo l’ho già scritto nella suddetta storia. Un po’ perché, come al solito, l’Inter non c’è, e un po’ perché dal triplete del 2010, dopo il quale mi sono sentito appagato e ripagato di tante sofferenze patite nei 42 anni precedenti, se ho visto 20-25 partite di calcio dal 2013 a oggi, non solo dell'Inter (di cui ne avrò viste massimo due o tre) ma in totale, sono già tante. In pratica, sono pronto per (non) guardare lunedì la partita tra Inter e Bayer Leverkusen dei quarti di Europa League. E comunque, c'è sempre una sola parola: #amala.

MOTOMONDIALE: ho detto pubblicamente che quest’anno tifavo Bagnaia e Quartararo. Il primo ieri si è fratturato, il secondo è in testa al campionato MotoGP ma oggi è caduto perdendo la pole. Traete voi le conclusioni.

FORMULA 1: A Silverstone domani si disputa il Gran Premio del 70° anniversario della nascita del Mondiale, peraltro già scoccato lo scorso 13 maggio, su un circuito che definire lo stesso di allora è un tantino scorretto visto che oggi ci sono 18 curve e 70 anni fa solo 8. In ogni modo Bottas, detto il sottovalutato, nelle qualifiche ha fatto 13, nel senso di numero di pole position, tante quante Graham Hill, Jack Brabham, Jacky Ickx, Jacques Villeneuve, Juan-Pablo Montoya e Mark Webber. Beffato il caposquadra Hamilton di 63 millesimi. Terzo il redivivo Hulkenberg sulla discussa Racing-Point, il tedesco non era così avanti in griglia, a parte un secondo posto in Austria nel 2016, da sette anni. Ferrari sempre più in Zona Rossa, e non si intende quella a causa del Covid.

MILANO-SANREMO: a un certo punto pensavo di essere in un giorno della seconda metà di marzo, ma poi mi sono reso conto che le temperature sono un tantino diverse e soprattutto non c’era, purtroppo, la di solito concomitante Coppa del Mondo di sci alpino. Per il resto, a parte qualche fuga poi annullata tranne l’ultima, non ho visto grande distanziamento sociale. Perfino i primi due, il vincitore di oggi Van Aert e il vincitore dell’agosto scorso, pardon, del marzo dell’anno scorso, Alaphilippe, si sono esibiti in un abbraccio post traguardo per lo meno inconsueto, visto che di solito volano più bici che baci e imprecazioni che abbracci da parte degli sconfitti. Nota di merito per Van Aert: è il fresco vincitore delle Strade Bianche nonché pluriiridato di ciclocross, quindi proprio scarso non è.

TENNIS: Camila Giorgi non è mai una tennista banale e nel torneo di Palermo l’ha confermato. Ha fatto meno regali del solito e sembrava che fosse sulla strada per diventare finalmente una vincente, anche per l’assenza apparente di quel genio del padre ma soprattutto per la presenza di una persona che invece è molto brava e competente, la capitana azzurra di Fed Cup Tathiana Garbin. E invece, dopo aver dominato il primo set contro la francese Fiona Ferro vincendo i primi cinque game, è stata a sua volta dominata nel secondo, poi nel terzo è mancata nei momenti decisivi e l’ha perso per 7-5 fallendo la qualificazione alla sua prima finale sulla terra rossa nel circuito maggiore. Alla sfida decisiva approda quindi la 23enne transalpina di padre italiano e madre belga, numero 53 del mondo, che affronterà domani l’estone Anett Kontaveit, numero 22 del ranking, che in questo torneo ha sofferto solo contro la nostra piccola grande Elisabetta Cocciaretto e che oggi ha spazzato via per 6-2 6-4 la numero 1 del torneo e 15 del pianeta, la croata Petra Martic. Un bilancio comunque finalmente positivo per l’Italia femminile che sta cominciando a riveder le stelle dopo qualche anno di difficoltà.

P.S.: dato che uno dei miei innumerevoli difetti è di essere una persona dalle poche idee e per di più confuse, sono alla ricerca di un nome per quella che vorrei diventasse una rubrica più o meno fissa di miei resoconti, meglio se semiseri come questo, sui social e su questo blog. Qualcuno di voi miei innumerevoli lettori ha dei suggerimenti? Se sì, vi ringrazio in anticipo.

venerdì 5 giugno 2020

Il 5 giugno 2010 lo storico trionfo di Francesca Schiavone al Roland Garros

Esattamente dieci anni fa si concretizzò un trionfo che pochi avrebbero ipotizzato alla vigilia del torneo, e cioè quello di Francesca Schiavone al Roland Garros, prima tennista italiana della storia a vincere un torneo del Grande Slam in singolare. A questo evento epocale sarebbe seguito cinque anni più tardi un altro evento e un altro trionfo ancora più epocale, quello di Flavia Pennetta agli US Open in una storica finale tutta azzurra contro Roberta Vinci.

Quel 5 giugno 2010, invece, nell’atto decisivo del torneo più importante del mondo per quanto riguarda la terra battuta, Francesca, soprannominata “Leonessa”, numero 17 del tabellone parigino, che avrebbe compiuto 30 anni il successivo 23 giugno, se la vide contro l’australiana Samantha “Sam” Stosur, di quattro anni più giovane di lei essendo nata a Brisbane il 30 marzo 1984, numero 7 del torneo e che era, proprio come la tennista milanese, alla sua prima finale in un Major. Francesca arrivò a quella partita decisiva avendo perso un solo set, il primo di quel suo magico torneo, contro la russa Regina Kulikova, alla fine sconfitta col punteggio di 5-7 6-3 6-4, poi mise in riga nell’ordine l’australiana Sophie Ferguson con un doppio 6-2, la cinese Li Na, numero 11 del tabellone, per 6-4 6-2, la russa Maria Kirilenko con un doppio 6-4, nei quarti la danese Caroline Wozniacki, testa di serie numero 3, per 6-2 6-3 e in semifinale un’altra russa, Elena Dementieva, numero 5 del seeding, all'ultimo anno della carriera pur essendo di un anno più giovane di Francesca, la moscovita si ritirò all’inizio del secondo set dopo aver perso il tie-break del primo per 7-3.
L’approdo in finale da parte della tennista milanese era già di per sé un risultato storico, mai ottenuto prima da un’italiana in un torneo dello Slam, ma la Leonessa non voleva fermarsi, pur dovendo affrontare un’avversaria che nei precedenti confronti diretti l’aveva battuta quattro volte su cinque e che aveva disputato fino a quel momento un torneo se possibile ancora più strepitoso del suo, considerato il livello delle sue avversarie, alle quali cedette complessivamente tre set. Al primo turno batté la giovanissima romena Simona Halep, esordiente in uno Slam, per 7-5 6-1, poi la veterana paraguaiana Rossana de los Rios per 4-6 6-1 6-0, la russa Anastasia Pivovarova per 6-3 6-2, negli ottavi la belga Justine Henin, quattro volte campionessa del Roland Garros e alla sua ultima recita nel Major parigino, per 2-6 6-1 6-4, nei quarti addirittura la numero uno del mondo, la statunitense Serena Williams, per 6-2 6-7 8-6 in una partita epica nella quale annullò anche un match point, o meglio, lo mancò Serena sbagliando un passante di dritto sul 5-4 in suo favore nel terzo set, e in semifinale la serba testa di serie numero 4 Jelena Jankovic, travolta per 6-1 6-2. Ma vediamo come andò quella storica finale di dieci anni fa.

Stosur comincia il match tenendo il servizio a zero nel primo game e fa lo stesso nel terzo, poi nel quinto recupera da 0-30, nel sesto un po’ di fatica anche per Francesca dopo due turni abbastanza morbidi, il secondo dei quali vinto a zero con un ace di seconda. Il primo break, che è anche quello decisivo del primo parziale, arriva nel nono gioco e a subirlo è la tennista del Queensland che Francesca, non dandole mai una palla uguale all’altra, manda fuori giri portandosi sullo 0-40, sulla prima palla break commette un errore gratuito, sulla seconda un suo passante di rovescio viene deviato fuori dal nastro ma la terza è quella buona poiché Stosur, chiaramente sotto pressione, commette doppio fallo. Francesca serve per il primo set, va sotto 0-30. recupera e va a set point che Sam le annulla con un dritto vincente, la milanese si procura un’altra occasione scendendo a rete e chiudendo una volée di rovescio e stavolta Stosur sul secondo set point affonda in rete il rovescio consegnando il parziale all’azzurra col punteggio di 6-4 in 40 minuti di gioco.

Nel terzo game del secondo set la Leonessa si porta sul 15-40 servizio Stosur con un fantastico attacco in back di rovescio ma Sam annulla le due palle break col suo schema preferito, e cioè servizio seguito dal dritto vincente, e alla fine tiene la battuta anche con un clamoroso vincente lungolinea di rovescio in chop. E’ proprio l’australiana nel game successivo a strappare il servizio a Francesca, si procura la sua prima palla break del match con un altro dritto vincente ma non la trasforma mettendo lungo lo stesso fondamentale, tuttavia due dritti sbagliati dalla milanese la mandano avanti prima 3-1 e poi 4-1 dopo aver tenuto la battuta a zero. Tuttavia la nostra campionessa non è soprannominata Leonessa per caso: dopo aver tenuto il proprio servizio, nel settimo gioco vola sullo 0-40 con due punti vincenti, Stosur annulla la prima delle tre palle break con un ace ma sulla seconda mette largo il dritto successivo al servizio: è controbreak per Francesca che subito dopo impatta sul 4-4.

I quattro game seguenti sono tenuti piuttosto agevolmente da chi è alla battuta: entrambe le protagoniste perdono un solo punto ciascuna nei loro due turni di servizio. Si va così al tie-break, che si rivelerà l’apoteosi della carriera di Francesca. La milanese dal 2-2 infila quattro punti vincenti: un passante di rovescio in back, un attacco in controtempo seguito dalla volée di dritto, un dritto dal fondo e una volée bassa di rovescio di una difficoltà abissale, e il primo championship point è subito quello buono poiché Sam manda alle stelle il rovescio. Tie-break vinto per 7-2 e immortalità sportiva assicurata per Francesca che dopo un’ora e 38 minuti di gioco può buttarsi per terra dalla gioia e baciare il rosso del campo centrale del Roland Garros dedicato a Philippe Chatrier, per poi, qualche minuto dopo, alzare al cielo la coppa Suzanne Lenglen spettante alla campionessa del mondo sulla terra battuta e tenerla stretta a sé mentre canta l’inno di Mameli, e infine ringraziare commossa in italiano il suo clan e i suoi tifosi in tribuna aggiungendo il saluto a mamma e papà che sono a casa.

Dodici mesi più tardi Francesca, che nel frattempo era salita al numero 4 del mondo a fine gennaio 2011 dopo i quarti di finale raggiunti agli Australian Open, posizione in classifica raggiunta tre settimane dopo anche da Stosur, arrivò a un passo dal clamoroso bis tornando nuovamente in finale a Parigi, ma contro Li Na, proprio la cinese alla quale aveva concesso solo sei game negli ottavi di finale del 2010, perse la partita decisiva per il secondo trionfo, curiosamente con lo stesso punteggio, 6-4 7-6, col quale aveva vinto la finale dell’anno precedente. Francesca si è ritirata ufficialmente nel 2018 durante gli US Open, chiudendo la carriera con otto tornei WTA vinti, tre Fed Cup, la versione femminile della Coppa Davis, nel 2006, 2009 e 2010, e raggiungendo almeno i quarti di finale in tutti e quattro i tornei dello Slam. Stosur invece è ancora in attività e anche lei ha raggiunto un’altra finale, quella degli US Open 2011, travolgendo a sorpresa per 6-2 6-3 la beniamina di casa Serena Williams diventando ufficialmente la sua bestia nera, i titoli WTA di singolare vinti dall’ormai 36enne australiana sono nove, ma Sam è soprattutto una grandissima doppista, con tre successi nel femminile e tre nel misto nei tornei dello Slam.

E' doveroso però, alla fine della rievocazione di questa impresa sportiva, puntualizzare una cosa riguardante Francesca: la partita più importante della sua vita non è stata quella contro Samantha Stosur, ma contro il linfoma di Hodgkin, che un anno fa ha combattuto e sconfitto. Come sempre, da vera Leonessa, nel tennis e nella vita.

Foto: rolandgarros.com

domenica 24 maggio 2020

Chris Amon, il pilota più forte tra quelli che non hanno mai vinto un Gran Premio iridato

Nell'opera a fascicoli "La storia della Formula 1" uscita alla fine degli anni settanta e che ho la fortuna di possedere perché da bambino "stalkerizzavo", come si direbbe oggi, i miei nonni affinché me ne acquistassero i fascicoli, Franco Lini, giornalista e per un anno direttore sportivo della Ferrari, scrisse di Chris Amon: "Non ha mai potuto vincere un Gran Premio eppure avrebbe meritato di diventare campione del mondo". Enzo Ferrari lo definì "il miglior pilota-collaudatore che abbia mai avuto". Queste parole rendono l'idea di quanto fosse forte questo neozelandese, il pilota più perseguitato dalla sfortuna di tutta la storia del Circus, anche se lui, in un'intervista a Mario Donnini di Autosprint, si definiva un pilota sfortunato ma un uomo fortunatissimo per essere sopravvissuto a un'epoca di corse nella quale la morte in pista era all'ordine del giorno.

In 96 Gran Premi iridati nei quali ha preso il via è salito 11 volte sul podio, e tra quelli che non hanno mai vinto è alle spalle di Nick Heidfeld, che ne ha messi insieme 13, e di Stefan Johansson, arrivato a quota 12, ma nessuno dei due aveva neanche lontanamente la classe di Amon, che per la verità due gare di Formula 1 le vinse, l'International Trophy di Silverstone del 1970 e il Gran Premio d'Argentina del 1971 ma non contavano per il titolo mondiale, inoltre si impose nelle Tasman Series del 1969, campionato che si correva con vecchi telai e motori della massima categoria automobilistica, battendo molti dei più grandi campioni dell'epoca, che per tenersi in allenamento d'inverno andavano a correre nell'emisfero australe.

Nato il 20 luglio 1943 a Bulls, nell'Isola del Nord della Nuova Zelanda, Amon sbarca in Europa a 19 anni, nel 1963, chiamato da Reg Parnell per guidare in Formula 1. Debutta al volante di una Lola dell'anno precedente, anche se in versione aggiornata, nel Gran Premio del Belgio, ma aveva partecipato anche alle qualificazioni a Montecarlo due settimane prima guadagnandosi un posto per la gara ma poi dovette cedere la sua vettura al veterano Maurice Trintignant, due volte trionfatore nel Principato. Durante l'anno arriva settimo in Francia e in Gran Bretagna su una vettura non competitiva, due incidenti al Nurburgring e a Monza lo fermano, poi torna in Messico su una vecchia Lotus 24 con motore BRM. All'inizio del 1964 Parnell muore e la scuderia passa al figlio Tim, con cui Amon continua a correre nel 1964 e nel 1965 su una gloriosa ma ormai datata Lotus 25 con la quale arriva quinto in Olanda nel 1964. A Silverstone nel 1965 si qualifica con una Brabham motorizzata BRM della Ian Racing ma ancora una volta deve cedere il suo mezzo a un compagno di squadra, in questo caso proprio al titolare della scuderia.

Nel frattempo si cimenta anche nelle gare di durata e il 19 giugno 1966 trionfa sulla leggendaria Ford GT40 Mk2 con motore da 7 litri del Team Shelby nella 24 ore di Le Mans in coppia col connazionale Bruce McLaren. Quella è l'edizione più incredibile della celeberrima corsa francese, visto che la casa statunitense distrugge la supremazia della Ferrari e visto che i due neozelandesi arrivano sul traguardo in contemporanea con la vettura gemella dell'inglese Ken Miles e di Dennis Hulme (un altro neozelandese!) ma vincono poiché sullo schieramento sono partiti più indietro rispetto ai compagni di squadra e quindi hanno percorso più metri! Lo stesso McLaren tra l'altro ingaggia Amon per correre in Formula 1 con la sua neonata scuderia omonima, ma la seconda vettura non è pronta e quindi quell'anno Chris gareggerà solo in Francia su una Cooper motorizzata Maserati, mentre a Monza, su una Brabham-BRM privata, non riuscirà a qualificarsi.

Per il 1967 Amon viene ingaggiato dalla Ferrari: è la sua grande occasione, e nell'attesa di esordire col Cavallino a Montecarlo, dopo che la casa di Maranello ha disertato il Gran Premio del Sudafrica, continua a vincere nell'endurance, imponendosi nella 24 ore di Daytona e nella 1000 km di Monza, entrambe le volte in coppia con Lorenzo Bandini. Nel Principato è terzo dopo una bella rimonta ma la gara è funestata dalla morte di Bandini nel rogo della sua Rossa alla chicane del porto. E' poi quarto in Olanda e terzo in Belgio, dove l'altro suo compagno di squadra Mike Parkes ha un incidente che gli stronca la carriera. Chiude nuovamente terzo in Gran Bretagna, dove viene ostacolato per 60 giri da Jack Brabham prima di riuscire a passarlo, ed è sul gradino più basso del podio anche in Germania, in seguito è sesto in Canada e settimo a Monza poi, a Watkins Glen, ha la prima concreta occasione di vincere: nell'ultima parte di gara è nettamente più veloce delle Lotus 49 motorizzate col nuovissimo Ford Cosworth e guidate da Graham Hill e da Jim Clark che sono rispettivamente secondo e primo, il neozelandese supera l’inglese e si appresta ad attaccare lo scozzese ma a 12 giri dalla fine la bassissima pressione dell'olio lo costringe al ritiro. In Messico, quando è secondo dietro a Clark dopo essergli partito accanto in prima fila, rimane senza benzina a tre tornate dal termine venendo classificato nono.

Il 1968 inizia con un quarto posto in Sudafrica, poi, a parte Monaco che viene disertato dalla Ferrari, infila tre pole position consecutive: in Spagna, a Jarama, domina fino a quando al 58° giro un guasto alla pompa della benzina lo costringe ad arrendersi; in Belgio, la prima gara della Ferrari con gli alettoni, si rompe il radiatore quando è in piena corsa per il successo; in Olanda è tra quelli che partono con le gomme da asciutto ma poi si mette a piovere e deve sostituirle classificandosi alla fine sesto. In tutti gli altri Gran Premi stagionali non farà più la pole ma non scenderà mai al di sotto della seconda fila. In Francia, dove vince il suo scomodo e giovanissimo compagno di squadra Jacky Ickx, è decimo sotto la pioggia, unico suo grande punto debole. In Gran Bretagna torna sul podio finendo secondo alle spalle dello svizzero Jo Siffert col quale ha ingaggiato un bel duello. Da qui alla fine dell'anno saranno solo ritiri. Sia al Nurburgring sia a Monza finisce in mezzo agli alberi: pauroso soprattutto il suo volo alla prima curva di Lesmo, per fortuna senza conseguenze. In Canada è in testa dall'inizio ed è ormai sicuro della vittoria quando gli si rompe una molla del pedale della frizione e a 18 tornate dal termine si ritira col cambio completamente bloccato, negli Stati Uniti è attanagliato da noie alla pompa dell'acqua, in Messico abbandona per surriscaldamento del motore.

La serie dei ritiri continua nel 1969 anche se all'inizio dell'anno, come detto, vince le Tasman Series imponendosi in quattro gare su sette con una Ferrari Dino 246 Tasmania. Con l'approdo di Ickx alla Brabham rimane praticamente l'unico pilota del Cavallino in Formula 1 e dopo essersi arreso a noie al motore in Sudafrica, ha ancora l'occasione di cogliere la prima vittoria e ancora in Spagna, stavolta al Montjuich, ma la pressione dell'olio gli cala improvvisamente e al 57° giro deve dire ancora una volta addio ai sogni di gloria. A Montecarlo, quando è secondo dietro a Stewart e davanti a Hill, che vincerà la sua quinta gara nel Principato, rompe il cambio al 17° passaggio. Finalmente in Olanda vede il traguardo classificandosi terzo: sembra che la sfortuna lo lasci finalmente in pace ma è un'illusione che dura poco poiché in Francia si ritira per un guasto al motore e in Gran Bretagna gli si rompe di nuovo il cambio. A questo punto Amon, malgrado stia anche provando la nuova 312B con l'altrettanto nuovo motore boxer 12 cilindri, lascia la Ferrari, stufo di non poter disporre di una vettura competitiva. Se ne pentirà amaramente perché l'anno successivo Ickx, tornato a Maranello, e il debuttante Clay Regazzoni, chiuderanno il campionato al secondo e al terzo posto alle spalle di Jochen Rindt, deceduto in prova a Monza e unico iridato postumo della storia.

Per il 1970 Amon approda alla nuova scuderia March motorizzata Ford Cosworth di Max Mosley e Robin Herd ma la musica non cambia: tre ritiri nelle prime tre gare, in particolare a Montecarlo, quando è secondo dietro Brabham, urta contro le barriere di protezione. Rinasce in Belgio, nell'ultimo Gran Premio corso sul vecchio e ultraveloce circuito di Spa-Francorchamps, dove è secondo alle spalle della BRM del messicano Pedro Rodriguez, che l'anno precedente gli ha fatto compagnia alla Ferrari per un Gran Premio a Silverstone e che lo batte per poco più di un secondo malgrado il neozelandese effettui il giro più veloce. Ritiro lampo in Olanda per la rottura della frizione poi in Francia, a Clermont-Ferrand, è ancora secondo stavolta dietro alla Lotus 72 di Rindt. In Gran Bretagna è quinto risalendo dal diciassettesimo posto in griglia, in Germania, a Hockenheim, quando è terzo si ritira per un guasto al motore, è ottavo in Austria e settimo a Monza, terzo in Canada, quinto negli Stati Uniti e quarto in Messico. Una stagione piena di risultati positivi ma con la vittoria che non arriva mai. O meglio, è arrivata il 26 aprile ma in una gara non titolata, l'International Trophy di Silverstone, dove batte il compagno di marca (non di scuderia) e campione del mondo in carica Jackie Stewart.

L'altra vittoria fuori campionato per Amon arriva il 24 gennaio 1971 nel Gran Premio d'Argentina, gara che, ironia della sorte, farà parte del campionato del mondo solamente dall'anno successivo. Nel frattempo Chris è passato alla Matra, scuderia tutta francese anche come motore. In campionato le cose iniziano bene: in Sudafrica è quinto dopo una partenza cattivissima dalla prima fila, in Spagna è terzo, ma poi a Montecarlo e in Olanda effettua altre due partenze disastrose abbinandole con due ritiri, nel Principato dopo 45 giri, a Zandvoort dopo due. In Francia è quinto, poi ancora due abbandoni in Gran Bretagna e in Germania. In Austria la Matra non corre per preparare un nuovo motore e la cosa funziona a Monza dove Amon conquista la pole position e poi in gara getta al vento un'altra occasione incredibile per vincere: per il neozelandese un'altra brutta partenza ma riesce comunque a stare a contatto col gruppetto al comando, a due terzi di gara va addirittura in testa alternandosi con i compagni di fuga ma a sette giri e mezzo dalla fine, mentre sta pulendo la pellicola che copre la visiera, questa gli si stacca completamente dal casco ed è costretto a rallentare chiudendo sesto a oltre mezzo minuto dai primi! Termina l'anno con un decimo posto in Canada e un dodicesimo negli Stati Uniti.

Nel 1972, in Argentina, dove aveva vinto 364 giorni prima, è piuttosto indietro in griglia ma non riesce nemmeno a partire per la rottura del cambio, lo stesso problema lo ferma in Spagna mentre due settimane prima in Sudafrica, quando è quarto, è costretto ai box per problemi di tenuta di strada e finisce quindicesimo. Malgrado una sbandata che nel primo quarto di gara gli fa perdere posizioni è quinto sotto il diluvio a Monaco, poi in Belgio, a Nivelles, a 8 giri dalla fine è terzo e ha da poco stabilito il giro più veloce ma è costretto a rifornirsi di benzina terminando così sesto. Poi ha la più grande occasione per vincere della sua vita e ancora una volta la manca. In Francia, sul circuito della Charade di Clermont Ferrand detto "piccolo Nurburgring”, conquista la pole position, domina letteralmente per 19 giri ma al 20° si deve fermare per la foratura di una gomma, la sosta lo fa ripartire in ottava posizione ma a questo punto rimonta furiosamente effettuando il giro più veloce e classificandosi terzo! Di fatto le chance di successo in un Gran Premio iridato per uno sfiduciato Amon finiscono qui. In Gran Bretagna, a Brands Hatch, come due anni prima si esibisce in un'altra grande rimonta dal diciassettesimo posto in griglia al quarto finale, in Germania rompe lo spinterogeno nel giro di ricognizione, in Austria è quinto, a Monza deve abbandonare al 38° giro quando è terzo coi freni fuori uso, in Canada è sesto e negli Stati Uniti gara subito compromessa, come in Germania, per la rottura di una valvola.

Le ultime quattro stagioni in Formula 1 di Amon sono, di fatto, un calvario. La March lo rivuole ma poi l'accordo non si conclude e lui per il 1973 opta per la bolognese Tecno sponsorizzata Martini, che oltretutto gli vieta di tornare a guidare la Ferrari anche se solo per un Gran Premio, quello di Spagna, come voleva il neozelandese e come voleva il Cavallino, in quanto la sua nuova monoposto non sarebbe stata pronta prima del quinto Gran Premio, in Belgio. A Zolder comunque è ottimo sesto risalendo dalla quindicesima posizione nello schieramento, ma rimane un episodio isolato: tre ritiri in tre Gran Premi e una non partenza in Austria. In Canada è al volante di una Tyrrell vecchio tipo al fianco di Stewart e François Cevert, è decimo e si appresta a correre anche negli Stati Uniti ma a Watkins Glen Cevert muore in prova e la scuderia di patron Ken non disputa la gara. Nel 1974 tenta l'avventura con una vettura che porta il suo nome, progettata da Gordon Fowell e sponsorizzata da John Dalton ma riesce a gareggiare solo in Spagna, oltretutto per soli 22 giri. Ancora una volta nei due Gran Premi nordamericani si presenta con un'altra vettura, la BRM, con la quale è nono a Watkins Glen.

Chiuso il fallimentare esperimento della Chris Amon Racing per mancanza di finanziamenti, il neozelandese decide di smettere con la Formula 1 per dedicarsi alla Formula 5000 ma nell'agosto del 1975 Morris Nunn lo chiama per guidare la Ensign e lui accetta. Disputa con questa scuderia dieci Gran Premi in poco meno di un anno e il suo miglior risultato lo ottiene in Spagna nel 1976 classificandosi quinto. Al Nurburgring poche settimane dopo Niki Lauda è vittima di quell'incidente che anche i non appassionati di automobilismo ricordano, la corsa viene fermata e Amon, già vittima a sua volta di un paio di botti durante l'anno, si rifiuta di presentarsi alla seconda partenza. Chiude baracca e burattini e dice basta con la Formula 1, ma Frank Williams e Walter Wolf lo vogliono per farlo correre in Canada sulla vettura che porta il nome di entrambi. La tentazione è irresistibile, Chris si qualifica con l'ultimo tempo ma una collisione con Harald Ertl gli procura una seria botta al ginocchio sinistro e rinuncia a prendere il via. Alla fine dell'anno Wolf e Williams si separeranno e Jody Scheckter, alla guida della vettura del primo, si classificherà secondo nel campionato del mondo del 1977…

Amon chiuderà definitivamente la carriera nello stesso 1977 dopo aver tentato l'avventura nella Can-Am, campionato nordamericano per vetture sport, e prima di tornarsene in Nuova Zelanda a fare il mestiere di suo padre, prestigioso allevatore di pecore, consiglierà a Enzo Ferrari di ingaggiare un piccolo canadese che aveva adocchiato in Formula Atlantic, campionato di supporto alla Can-Am, e che aveva già esordito in Formula 1 a Silverstone al volante di una McLaren suscitando un'ottima impressione, un tale di nome Gilles Villeneuve. E' deceduto il 3 agosto 2016, pochi giorni dopo aver compiuto i 73 anni. Per concludere, Amon è stato un pilota fortissimo e ancora migliore come collaudatore, con pochi punti deboli, tra questi, come abbiamo detto, la guida sotto la pioggia ma anche certe scelte discutibili fatte durante i suoi anni di attività: a questo proposito 13 scuderie con le quali si è presentato all'inizio di un weekend iridato (e con 11 di queste ha preso il via in almeno un Gran Premio) sono francamente troppe, e infatti questo dato è un record, non si sa però se positivo o negativo. Anche questi fattori, oltre all'immensa sfortuna di cui ho anche troppo diffusamente parlato, gli hanno impedito di figurare nell'elenco dei vincitori di un Gran Premio iridato ed è una vera e propria ingiustizia che uno come lui non sia entrato a far parte di questo elenco.

mercoledì 13 maggio 2020

13 maggio 1950: a Silverstone il primo GP iridato della storia della F1


Sono passati esattamente 70 anni dalla nascita del Campionato del Mondo di Formula 1. Sabato 13 maggio 1950 si disputava infatti la prima gara iridata della storia, il Gran Premio d’Europa sul circuito inglese di Silverstone, ottenuto collegando le piste di un aeroporto militare della RAF della seconda guerra mondiale e che allora era già piuttosto veloce, presentando 8 curve, contro le 18 con le quali è stato snaturato e stravolto al giorno d’oggi, che collegavano i rettilinei delle piste riservate fino a pochi anni prima agli aerei. Il circuito misurava 4,649 km, 2,889 miglia, contro i 5,891 km di oggi.

La corsa vide al via 21 partenti: dieci vetture italiane con quattro Alfa Romeo, con al volante Nino Farina, l’argentino Juan Manuel Fangio, Luigi Fagioli e il beniamino locale Reg Parnell; sei Maserati con il principe Bira, Emmanuel "Toulo" de Graffenried, Louis Chiron, David Hampshire, David Murray e Joe Fry; cinque Talbot-Lago con Yves Giraud-Cabantous, Louis Rosier, Philippe Etancelin, Johnny Claes ed Eugène Martin; e infine sei vetture inglesi, quattro ERA con Peter Walker, Leslie Johnson, Bob Gerard e Cuth Harrison, e due Alta con Geoff Crossley e Joe Kelly.

Balza agli occhi l’assenza della Ferrari: il costruttore modenese ha ritenuto l’ingaggio per questa corsa troppo basso, per cui ha preferito far gareggiare i suoi bolidi a Mons, in Belgio, in una gara di Formula 2, disputata il giorno dopo quella di Silverstone e dominata dalle vetture di Maranello con, nell’ordine, Alberto Ascari primo, Gigi Villoresi secondo e Franco Cortese. Tripletta fu anche a Silverstone, dove le protagoniste assolute furono le "Alfette" 158, che avrebbero potuto anche fare poker. Dopo le qualificazioni le rosse vetture milanesi del quadrifoglio occuparono tutta la prima fila con Farina in pole position col tempo di 1’50”8, Fagioli e Fangio secondo e terzo in 1’51”0 e Parnell quarto in 1’52”2.

La gara, disputata in una bella giornata di sole e davanti a 150.000 spettatori, compresi re Giorgio VI, la regina consorte Elisabeth Bowes-Lyon e la principessa Margaret, non ebbe assolutamente storia per le prime posizioni: Farina transitò in testa per 63 dei 70 giri previsti, Fagioli per 6, dal 10° al 14° e poi al 38° per il gioco dei pit-stop di metà gara e Fangio per uno, il 15°. Neanche i rifornimenti, che per le Alfa duravano all'incirca mezzo minuto ciascuno, spostarono gli equilibri a favore delle altre scuderie. L’unico colpo di scena fu il ritiro di Fangio a 8 giri dal termine, mentre era secondo alle spalle di Farina, per la rottura di un condotto dell’olio causata da un tentativo di sorpasso ai danni del 43enne pilota torinese effettuato poco prima alla curva Stowe e concluso con un urto contro le balle di paglia.

E così Giuseppe, per tutti "Nino", Farina, guarito brillantemente da un incidente subito a Marsiglia poco meno di due mesi prima con conseguente incrinatura di una spalla, tagliò vittorioso il traguardo con 2 secondi e 6 decimi di vantaggio su Fagioli, coprendo la distanza totale di 325,430 km in 2 ore, 13 minuti, 23 secondi e 6 decimi alla media di 146,378 km/h e incassando così gli 8 punti che in classifica spettavano al vincitore, ma ne guadagnò un altro supplementare per aver stabilito già al secondo passaggio il giro più veloce in 1’50”6 alla media di 151,324 km/h. Fagioli, secondo, si prese 6 punti, Parnell, terzo a 52 secondi, 4. I primi del resto del mondo furono i francesi Giraud-Cabantous e Rosier su Talbot-Lago, quarto e quinto e ultimi a prendere punti, 3 e 2, ma staccati di ben due giri dal vincitore.

A tre tornate di distacco, sesta e settima, le due ERA di Gerard e Harrison, ottava a cinque giri e undicesima e ultima vettura al traguardo a sei giri altre due Talbot-Lago, quella di Etancelin e quella di Claes. Per la verità arrivò al traguardo anche Kelly su Alta ma essendo staccato di 13 giri non venne classificato. Disastrose le Maserati, la cui migliore fu quella di Hampshire, nono a sei giri, seguita con lo stesso distacco da quella guidata da Brian Shawe-Taylor, che al 45° giro aveva preso il posto di Fry: allora era consentito che un pilota prendesse il posto di un compagno di squadra durante la gara, addirittura in questo caso anche se non aveva preso parte alle qualificazioni, così come capitò a Tony Rolt, che prese su una delle ERA il posto di Walker, fermatosi ai box per problemi al cambio dopo sole due tornate, ma che capitolò dopo altri tre passaggi.

Gli altri ritirati: Bira e de Graffenried, sulle Maserati, erano stati i più vicini alle Alfa nelle prime fasi della corsa, ma il principe thailandese dovette fermarsi nel corso della 50a tornata all'Hangar Straight per bassa pressione dell'olio quando era settimo, lo svizzero, anche lui quando era settimo, alla 37a per la rottura di una biella. Le altre due vetture della casa del tridente, quelle del veterano monegasco Chiron, autore di una gara totalmente anonima, e di Murray, ruppero rispettivamente la frizione e il motore al 25° e al 45° giro, lo stesso in cui la seconda Alta, quella di Crossley, si fermò per problemi alla trasmissione. Per finire, Martin con la quinta Talbot-Lago abbandonò al nono passaggio per la pressione dell'olio, mentre la quarta ERA di Johnson si fermò dopo soli due giri col motore in fumo.

Otto giorni dopo, a Montecarlo, farà il suo debutto nel mondiale la Ferrari e Ascari, anche favorito da una maxi carambola che alla curva del tabaccaio al primo giro eliminò, tra gli altri, Farina e Fagioli, finirà secondo, doppiato di un giro da Fangio, dominatore assoluto della corsa. Il primo titolo mondiale della storia se lo aggiudicherà Farina, per soli 3 punti su Fangio, vincendo il 3 settembre il Gran Premio di’Italia a Monza e beneficiando del doppio ritiro dell’argentino, prima con la sua macchina e poi con quella del compagno di squadra Piero Taruffi: allora infatti era permesso a un pilota, in grave ritardo o ritirato, di prendere il posto di un compagno di scuderia meglio piazzato di lui o ancora in gara.

Quella volta a Monza, così come a Silverstone a inizio stagione, esultarono Farina e l’Italia e a Fangio andò male, ma il sudamericano si rifarà con gli interessi nel corso degli anni successivi vincendo (con quattro costruttori diversi!) cinque titoli iridati, di cui quattro consecutivi, record rimasto per decenni imbattuto fino all’avvento di Michael Schumacher.