lunedì 21 gennaio 2019

In quattro giorni ho ritrovato il mio mondo



Quando qualche mese fa sono venuti alla luce tutti i miei problemi sapevo che non avrei, anche per motivi economici, potuto fare nessuna trasferta sciistica. Tranne forse una, la più nel tempo e l’unica che sarei stato in grado di fare. Questa trasferta è quella che ho appena concluso, e cioè quella a Cortina d’Ampezzo. Dove sapevo di trovare tanti amici tra colleghi, ex atleti e componenti lo staff dell’organizzazione, in mezzo ai quali mi sarei sentito stimato e rispettato. 

Mercoledì sono arrivato a Cortina e sono rimasto subito soddisfatto: l’albergo era un due stelle in pieno centro ma la camera era comoda come non ne ho trovate nemmeno in certi tre stelle in cui sono stato. Poi il meteo: all’inizio della settimana era previsto molto brutto e invece, da venerdì a domenica, tutte e tre le gare veloci femminili di Coppa del Mondo in programma sono state portate a termine. La giornata clou è stata l’ultima, domenica, passata da poche ore: noi che eravamo presenti potremmo essere stati testimoni di un fatto storico, e cioè all’ultima gara di Lindsey Vonn. La fuoriclasse statunitense, 82 vittorie in Coppa del Mondo, potrebbe ritirarsi immediatamente anziché arrivare alla fine della stagione a causa dello stato pessimo delle sue ginocchia.

L’altra grande infortunata di quest’anno, la nostra Sofia nazionale, Sofia Goggia per chi non lo sapesse, presente al parterre a disposizione dei media in attesa del suo prossimo ritorno in pista dopo la frattura al malleolo dello scorso ottobre, ha omaggiato di un mazzo di fiori Lindsey quando questa è arrivata al traguardo. Le due amiche-rivali si sono sciolte in un abbraccio bellissimo. Il gesto della Sofia nazionale era stato quasi sicuramente pensato e studiato a tavolino, essendo lei un grande personaggio mediatico per giunta in mano a un grande management ma è stato ugualmente un momento di bellezza disarmante. Dietro gli occhiali da sole io mi sono commosso, non mi vergogno a dirlo.

Questo episodio è l’ennesima conferma che l’ambiente dello sci alpino e degli sport invernali in generale, malgrado i suoi tantissimi difetti, è il migliore che io abbia mai conosciuto e faccio fatica a pensare che ne possa esistere uno migliore. Domenica sera poi il ritorno a casa, con tanto di strappo dato fino a Brescia alla mia occasionale (e gradita) compagna di viaggio e cena con lei e sua mamma in un ristorante pizzeria che si chiama come una famosissima canzone di Lucio Dalla dove ho degustato una strepitosa zuppa di pesce e un altrettanto strepitoso tiramisù.

Quattro giorni, da mercoledì a domenica, per ritrovare il mio mondo. E poco importa se sono tornato a casa all’una di notte passata e sto ancora scrivendo queste righe quando stanno per scoccare le tre. Contento di essere a casa e allo stesso tempo dispiaciuto che la trasferta sia finita. Spero che non sia stata l’ultima della mia vita. Intanto, mi sento bene. No, sono felice.

Credit photo: Ivano Edalini

giovedì 3 gennaio 2019

Caro Schumi...



Caro Michael Schumacher, i primi giorni dell’anno segnano il genetliaco di alcuni personaggi che hanno fatto la storia dello sport. Il 4 è il giorno di Armin Zoeggeler, il più forte slittinista di tutti i tempi, classe 1974, il 5 è quello di Janica Kostelic, classe 1982, neomamma che senza tutti gli infortuni che ha avuto sarebbe diventata la più grande sciatrice di tutti i tempi. Oggi tocca a te, caro Schumi, e per giunta dovresti festeggiare un traguardo importante, dato che sei classe 1969: quello del mezzo secolo. Dovresti perché il 29 dicembre 2013 una caduta sugli sci to provocò danni cerebrali gravissimi tanto da ridurti, probabilmente, a niente più che a un vegetale, come capitò allo sciatore valdostano Leonardo David, caduto al traguardo della discesa di Lake Placid del marzo 1979 e poi deceduto sei anni dopo senza mai più risvegliarsi dal proprio stato di torpore. Caro Schumi, temo che la tua situazione sia esattamente la stessa, tanto più che la tua famiglia non emette mai un comunicato ottimistico sulle tue condizioni di salute. Nei giorni scorsi è stato scritto da qualcuno che non sei più costretto eternamente a letto ma riesci anche ad alzarti in piedi: niente di tutto questo compare nel comunicato dei tuoi cari per il tuo 50° compleanno, il quale si limita a far sapere che la famiglia è felice di festeggiare questa ricorrenza insieme a tutti noi, annuncia la nascita di una app dedicata a te e alle tue vittorie e ribadisce per l’ennesima volta che sei in buone mani e che tutti stanno facendo tutto il possibile per aiutarti. Perdurando il mistero, e anche il doveroso riserbo della tua famiglia sulle tue reali condizioni di salute, non mi resta che ipotizzare quanto detto prima e ricordarti per tutto quello che hai combinato in pista. Nel bene e nel male hai rivoluzionato la Formula 1 e anche la stessa anima della Ferrari: sette titoli mondiali, dei quali cinque consecutivi con la Rossa, e 91 Gran Premi vinti non sono certo bazzecole. Non so se sei stato il più grande: i tamponamenti a Damon Hill grazie al quale vincesti il primo dei due titoli con la Benetton nel 1994 e a Jacques Villeneuve per colpa del quale perdesti quello del 1997 quando eri già al volante di un bolide di Maranello sono macchie indelebili nel tuo curriculum, squalificato ulteriormente da un modesto ritorno alle gare dal 2010 al 2012 al volante di una Mercedes che non era certamente quella attuale. Per non parlare degli sfacciati favoritismi di cui godesti dal tuo team, tipo nel 2002, quando in Austria il tuo compagno di squadra Rubens Barrichello non venne fatto vincere anche se tu in classifica mondiale avevi già una tale posizione di sicurezza da poterti permettere un piccolo regalo al tuo scudiero, che gli venne poi puntualmente fatto poco più di un mese dopo nel Gran Premio d’Europa al Nurburgring. In ogni modo non c’è dubbio che tu, caro Schumi, sei uno dei primi cinque piloti di sempre se non addirittura uno dei primi tre. Preferisco ricordarti nei momenti di tutti i tuoi titoli mondiali vinti con la Ferrari, il primo dei quali a Suzuka nel 2000, il più bello perché per la Rossa arrivava a 21 anni di distanza dall’ultimo. E preferisco ricordare di aver vissuto gran parte della tua epopea a Maranello, anche se sempre dalla redazione e mai sul posto, con le dirette scritte dei Gran Premi giro per giro apprezzatissime da appassionati e colleghi ma non dai capi della redazione per cui lavoravo, che a un certo punto come ringraziamento mi diedero un sonoro calcio in culo e per loro interposta persona cominciò un ostracismo verso di me che dura ancora adesso. Non c’è dubbio che su di te, caro Schumi, c’era sempre da scrivere qualcosa e scrivere di te adesso che probabilmente non puoi nemmeno goderti né il mezzo secolo né la tua pensione dorata è una cosa che mi fa enormemente male. Quali che siano le tue reali condizioni di salute, buon 50° compleanno, caro Schumi, e grazie di tutto.
Il tuo ammiratore e detrattore Max Valle

martedì 1 gennaio 2019

Il giorno dei sogni e delle speranze

Sto cominciando a scrivere queste righe in piena notte di Capodanno e a un’ora, l’1,10, in cui dovrei forse già essere nel mio letto di solitudine. Ma non lo faccio per paura che un petardo-bomba mi svegli di soprassalto. Non che in questo mese di dicembre siano stati particolarmente numerosi anzi, anche oggi a mezzanotte e dintorni si sono sentiti più fuochi d’artificio che altro. Evidentemente anche i lanciatori di petardi e di petardi-bomba si stanno estinguendo, almeno nella mia zona, o perché i loro genitori glielo vietano, oppure perché non hanno i soldi per mandare i figli a comprarli: sembra incredibile ma la crisi sta attanagliando anche la categoria dei bombaroli di Capodanno, cosa che fino all’anno scorso sembrava impossibile. Detto questo, meglio tornare al vostro affezionatissimo che è meglio.

E’ la quarta sera di San Silvestro e notte di Capodanno di fila che passo da solo, la prima è stata la mia ultima al mio adorato paesello, le ultime tre nella casa di Milano, per di più quest’anno è accaduto senza neanche una goccia di spumante con cui brindare, ma tutto questo non è un male: alla prima cosa ormai mi sono abituato, alla seconda devo rinunciare per necessità. Così per tenermi allegro mi sono cucinato un buon cotechino e delle buone lenticchie, entrambi rigorosamente precotti (altrimenti sarei ancora alle prese con piatti e pentole) che mi sono stati regalati nei giorni scorsi insieme ad altre buone cose da mangiare, tra le quali c’è una scatola di cioccolato fondente, che malgrado non sia il mio preferito, sono pronto a far fuori a breve (l’animaletto fatto di cioccolato al latte l’ho invece fatto fuori il giorno stesso dell’arrivo del cesto-regalo).

Domani mattina (stamattina, per chi legge, nda) mi sveglierò come non riesco più a fare, per esempio, a Natale (per quanto l'ultimo mi abbia dato molta serenità) da molto tempo a questa parte: pieno di sogni e di speranze per l’anno appena iniziato. Sarà (è, per chi legge, nda) anche la giornata di due eventi che da sempre mi mettono di buonumore: la gara di Garmisch-Partenkirchen della Tournée dei 4 Trampolini, secondo il mio modesto parere la più bella delle quattro che si svolgono a cavallo tra anno vecchio e anno nuovo, e soprattutto il Concerto di Capodanno di Vienna coi valzer, le polke e le mazurche della famiglia Strauss, che ormai da qualche anno la Rai trasmette imperdonabilmente in differita benché nel mondo sia molto più seguito di quello del Teatro La Fenice di Venezia che ne ha preso il posto nel palinsesto delle dirette.

Perciò, dato che la differita andrà in onda in contemporanea al salto con gli sci, dovrò registrare il concerto viennese e guardarmelo e sentirmelo subito dopo la conclusione degli slalom paralleli maschile e femminile di Oslo che alle 16,30 in punto mi faranno già rituffare nel lavoro. Ma anche questo tutto sommato non è un male: guardandolo e sentendolo come ultima cosa della prima giornata dell’anno manterrò vive le mie speranze che il 2019 sia per me un anno migliore di (quasi) tutti gli anni precedenti. Sì, perché quelle musiche, oltre a mettermi di buonumore e a farmi sentire allegro (solo un  disco qualsiasi dei Beatles ha il potere di mettermi allegria e umore ancora migliori) tengono vive in me aspettative non dico di un futuro ricco di soddisfazioni ma quantomeno un po’ più sereno.

Temo però che dal 2 gennaio questa magia sarà già svanita: tornerò agli "arresti domiciliari", ovviamente lavorativamente parlando, con pochissimi minuti d’aria, a causa della schiavitù di arrivare prima degli altri a ogni costo con le notizie, e aspetterò inutilmente una telefonata (o un Whatsapp o un’altra delle diavolerie moderne alle quali peraltro mi sono abituato fin troppo bene) da parte di qualcuno di quelli che dicono di stimarmi professionalmente o anche da parte di gente che dice di volermi come collaboratore, in entrambi i casi per offrirmi qualcosa di serio. Se una telefonata (o Whatsapp) di questo genere non arriverà, e di questo sono completamente certo, dovrò essere io a darmi da fare una buona volta. Se invece qualcuna di queste telefonate (o Whatsapp) arriverà vorrà dire che mi sono sbagliato.

Ma sognare solo per il primo giorno dell’anno e non farlo per gli altri 364 non significa solo che sono pessimista di natura, ma anche che sono realista. Purtroppo. Lavorare come uno schiavo non paga, anzi, ti rende ulteriormente schiavizzato perché sei accomodante e poi non ti conviene ribellarti. Ecco, intanto sono le 2,30 di notte, bombe di Capodanno non ne sono esplose e posso andare a letto tranquillo in attesa di pubblicare questo mio post, che nel frattempo ho riletto e risistemato, domani mattina (sempre stamattina, per chi legge, nda). P.S.: la foto immortala tutto il mio ottimo cenone di San Silvestro come più sopra descritto. P.S.2: buon 2019 di cuore a tutte e a tutti! P.S.3: con enorme sprezzo del pericolo dei lamenti dei vicini ho karaokato fino alle 3,15 per mettermi ancora di più di buonumore. Ora me ne vado davvero a nanna!