Visualizzazione post con etichetta monza. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta monza. Mostra tutti i post

sabato 3 settembre 2022

I primi 100 anni del circuito di Monza

Oggi si celebra una data storica per l’automobilismo italiano e mondiale: esattamente 100 anni fa, il 3 settembre 1922, veniva infatti disputata la prima gara all’Autodromo Nazionale di Monza, che divenne in quel momento, il quarto circuito permanente della storia degli sport motoristici, dopo quello di Milwaukee, quello britannico di Brooklands e il leggendario ovale di Indianapolis, l’unico rimasto insieme a quello brianzolo.

La costruzione di quello che veniva chiamato nelle cronache dell’epoca "Circuito di Milano", un po’ comicamente a pensarci oggi, fu decisa nel gennaio di quello stesso 1922 dall’Automobile Club proprio di Milano, per festeggiare il 25° anno dell’associazione, e come sede fu scelto il Parco di Monza. Questa decisione scatenò subito violente polemiche, che da parte degli ambientalisti durano ancora oggi ed è uno dei motivi, oltre che quello delle altissime velocità che vi si raggiungono specialmente in Formula 1 malgrado l’inserimento nel corso degli anni di svariate chicane, per i quali un impianto sportivo così importante viene messo in discussione un anno sì e l’altro pure.

Il progetto iniziale prevedeva una pista di 14 km ma alla fine, dopo che il 26 febbraio Felice Nazzaro, uno dei migliori piloti dell’epoca, e Vincenzo Lancia, il fondatore dell’omonima casa automobilistica, avevano tracciato il primo solco del futuro circuito, si dovette ripiegare, per il minore impatto ambientale, su un circuito di 5,5 km più un anello di alta velocità di 4,5 km per un totale di 10 km esatti. La Società Incremento Autodromo e Sport (SIAS) presieduta dal senatore Silvio Crespi si accordò con l’Opera Nazionale Combattenti, l’ente a cui era affiliato il Parco.

I lavori, eseguiti dall’Impresa Piero Puricelli, iniziarono solo il 15 maggio, dodici giorni dopo l’approvazione del progetto definitivo, a meno di quattro mesi dalla data prevista per la seconda edizione del Gran Premio d’Italia, che sarebbe stata ospitata dal nuovo impianto dopo che il 4 settembre 1921 si era disputata la prima edizione sul circuito stradale di Montichiari, in provincia di Brescia, di 17,3 km da ripetere 30 volte e che aveva visto la vittoria del francese Jules Goux su Ballot alla media di 144,736 km/h. I lavori, comprendenti le strade di comunicazione interne, le tribune e i box, furono completati in soli 110 giorni, un record per un impianto di quella portata. Nel frattempo, il 28 luglio, Nazzaro e Pietro Bordino, altro grande pilota, la percorsero per la prima volta al volante di due Fiat 501, mentre le auto da corsa vi fecero il loro primo ingresso di prova il 20 agosto.

E si arriva così al fatidico 3 settembre, quando, alla presenza del presidente del consiglio Luigi Facta (colui che cadrà meno di due mesi dopo a causa della cosiddetta "marcia su Roma") e sotto la pioggia per gran parte della sua durata, si disputa la gara riservata alle cosiddette Vetturette, 1500 cc di cilindrata e 450 kg di peso minimo. Alla partenza si schierano nove vetture, delle quali quattro sono Fiat, che dopo 60 giri e 600 km si classificano ai primi quattro posti. A vincere, dopo essere partito a sorte dalla prima fila (le qualifiche erano ancora di là da venire) è Bordino sul modello 501 per le corse, che completa la distanza in 4h28’38”6 alla media di 134,007 km/h. Secondo è Enrico Giaccone a oltre cinque minuti e mezzo, terzo Evasio Lampiano a quattro decimi da Giaccone, quarto Carlo Salamano a quasi sette minuti da Bordino. Quinto, a quasi un’ora dal vincitore, la prima vettura non Fiat, la Chiribiri di Maurizio Ramassotto.

Il successivo 8 settembre si corre il Gran Premio motociclistico delle Nazioni con la vittoria assoluta di Amedeo Ruggeri su Harley Davidson 1000 e con quella di Ernesto Gnesa con la Garelli 350 due tempi nella classe 500. Il 10 settembre è la volta del Gran Premio d’Italia, riservato a vetture da 2000 cc e peso minimo di 650 kg. Alla vigilia, durante il sabato delle prove libere, come si chiamerebbero oggi, c’è la prima delle tante tragedie di questo circuito, la morte di Gregor Kuhn, pilota dell’Austro-Daimler, e il ferimento del suo meccanico e compagno di abitacolo Robert Felder. La marca austriaca si ritira in segno di lutto dalla gara dell’indomani, prevista stavolta su 80 giri per 800 km totali, che dei 38 iscritti vede al via solo 8 piloti, tra i quali tre della Fiat e lo spagnolo Pierre de Vizcaya con la Bugatti, per la cui partecipazione pare siano state fatte pressioni sul costruttore, Ettore Bugatti, che non voleva gareggiare a causa della superiorità delle Fiat, per schierare il suo pilota al via, cosa che avrebbe comportato il rinvio della partenza dalle 9 alle 9,30 del mattino.

La vittoria, sotto gli occhi di una folla incredibile di centomila spettatori entusiasti, va, ancora una volta come una settimana prima e ancora una volta con la pioggia che ostacola lo svolgimento della corsa nella prima parte, a Bordino, su Fiat 804, in 5h43’13" alla media di 139,853 km/h, inferiore a quella fatta registrare da Goux un anno prima a Montichiari. Secondo a 8’22" è Nazzaro, compagno di squadra di Bordino. Solo un’altra vettura arriva al traguardo: quella dello spagnolo Pierre de Vizcaya su Bugatti, staccato di 4 giri e fermato dall'invasione di pista da parte del pubblico: nonostante non abbia completato tutti gli 80 giri in programma (non come oggi, quando se uno è doppiato viene comunque fermato dalla bandiera a scacchi), cosa che con i regolamenti di allora comporterebbe la squalifica, viene ugualmente classificato in terza posizione. La terza Fiat, quella di Giaccone, rimane ferma alla partenza con la trasmissione fuori uso.

Dopo queste prime tre gare, tutto il resto, come si dice, è storia, fatta di molte gare memorabili ma anche di tragedie. Il Gran Premio d’Italia da allora si è disputato ogni anno quasi ininterrottamente (quella che andrà in scena domenica 11 settembre sarà la sua novantaduesima edizione, l'ottantasettesima a Monza), tranne nel 1929 e nel 1930 in seguito alla tragica morte di Emilio Materassi e di 27 spettatori nel 1928, e poi dal 1939 al 1946 a causa della guerra. Inoltre, dal 1922 in poi, la gara si è sempre disputata a Monza tranne nel 1937 (Livorno), 1947 (Milano, per davvero!), 1948 (Torino, al Valentino), e infine nel 1980, quando a Imola si corse l’unica edizione del Gran Premio d’Italia non disputata a Monza a partire dalla nascita del campionato del mondo di Formula 1 nel 1950.

Il circuito è stato modificato innumerevoli volte, per esempio con la creazione della curva Parabolica al posto della vecchia doppia curva di porfido nel 1955, lo stesso anno in cui si corse per la prima volta sul rifatto anello di alta velocità, poi abbandonato, e poi con l’introduzione delle chicane, a poco dopo la metà del rettilineo dei box che inizialmente arrivava fino alla curva grande, ora curva Biassono, poi alla curva della Roggia e infine alla curva Ascari, precedentemente detta curva del Vialone. Queste chicane, pur snaturandone in nome della sicurezza le caratteristiche originali, rimaste bene o male quasi intatte fino al 1971 (anno della gara più bella della storia della Formula 1 con i primi cinque che tagliarono il traguardo nello spazio di 61 centesimi), non hanno tolto al circuito di Monza la nomea di vero e proprio “tempio della velocità”. E a dispetto di tutti coloro che già pochi anni dopo la sua nascita ne volevano la morte, a 100 anni è più vivo che mai.

sabato 5 settembre 2020

50 anni fa moriva a Monza Jochen Rindt, campione del mondo alla memoria


Il 5 settembre 1970 è una giornata che è diventata tragicamente storica: nelle qualificazioni del sabato della vigilia del Gran Premio d’Italia a Monza moriva Jochen Rindt, che un mese dopo diventerà, oltre che il primo iridato austriaco di Formula 1, anche il primo, e finora unico (per fortuna) campione del mondo alla memoria.


Rindt era nato il 18 aprile 1942 a Magonza, in Germania, da padre tedesco e madre austriaca. Nel 1943 perse entrambi i genitori, che morirono sotto i terribili bombardamenti alleati di Amburgo, e fu affidato ai nonni materni, residenti a Graz, città austriaca capoluogo del Land della Stiria, dove il piccolo Jochen crebbe. Si appassionò alle corse automobilistiche e fin dalle categorie minori mise in mostra una guida coraggiosa e aggressiva che ha pochi eguali nella storia.


Esordì in Formula 1 molto giovane nel Gran Premio di casa del 1964 al volante di una Brabham motorizzata BRM della scuderia di Rob Walker. Dopo aver vinto nel 1965 la 24 ore di Le Mans alla guida di una Ferrari 250 LM, e mentre fa incetta di vittorie in Formula 2, comincia a prendersi qualche soddisfazione in Formula 1 nel 1966 conquistando due secondi e un terzo posto con una Cooper motorizzata Maserati sfiorando il successo in Belgio, sul vecchio, fantasmagorico e ultraveloce circuito di Spa-Francorchamps, e chiude terzo il campionato. Le due stagioni successive però sono difficili, nella seconda delle quali, con una Brabham con motore Repco, binomio che aveva vinto gli ultimi due mondiali, raccoglie solo due terzi posti, conquistando però le prime due delle sue dieci pole position in carriera.


Nel 1969 passa alla Lotus di Colin Chapman ma l’inizio del campionato è drammatico: nel Gran Premio di Spagna al Montjuich gli si stacca l’alettone posteriore, che aveva enormi dimensioni, e la vettura vola contro le barriere e si ribalta colpendo la vettura del suo compagno di squadra e iridato in carica Graham Hill, ferma a bordo pista perché aveva avuto la stessa identica rottura meccanica. Rindt miracolosamente se la cava con una lieve commozione cerebrale e la frattura del naso. Dopo questo incidente le dimensioni degli alettoni verranno regolamentate e notevolmente ridotte. Piano piano Jochen si riprende, è sempre velocissimo in qualificazione tanto da conquistare cinque pole position, e verso la fine della stagione è secondo a Monza, battuto di un soffio in volata dal suo grande amico Jackie Stewart, e terzo in Canada, poi finalmente coglie la prima vittoria a Watkins Glen, negli Stati Uniti, partendo dalla pole e stabilendo anche il giro più veloce. In campionato finisce al quarto posto.


Ma è il 1970 a proiettarlo definitivamente nell’Olimpo. Chapman ha un’arma letale, sia per gli avversari sia, come vedremo, per i suoi stessi piloti, da mettere in pista: è la Lotus 72, una monoposto rivoluzionaria a livello aerodinamico caratterizzata dalla parte anteriore che viene ribattezzata “a cuneo”. L’esordio della vettura in Spagna, a Jarama, è negativo, tanto che Rindt torna alla vecchia 49C, con la quale vince il Gran Premio di Monaco grazie a un incredibile errore del vecchio Jack Brabham, che quando è in testa ma insidiato dall’austriaco all'ultimo giro della corsa sbaglia la frenata e va a sbattere contro il guard-rail di quella che era allora l’ultima difficoltà del circuito di Montecarlo, la curva del gasometro. Due Gran Premi più tardi Rindt torna al volante della 72 che ora, nella sua ultimissima versione, la C, diventa imbattibile: vince quattro gare consecutive in Olanda, Francia, Gran Bretagna e Germania, e la serie si interrompe proprio a casa sua, in Austria, quando viene tradito dal motore in quello che diventerà, purtroppo, il suo ultimo Gran Premio, il 60°.


E si arriva a quel maledetto 5 settembre a Monza: sono da poco passate le 15,15 quando Rindt sta effettuando il quinto giro consecutivo della sua seconda giornata di qualificazioni per il Gran Premio d'Italia per cercare un tempo che lo porti nelle zone alte della griglia di partenza. Arriva alla staccata della Parabolica e la sua Lotus 72, quando Jochen tocca i freni, comincia a sbandare più volte a destra e a sinistra (ma alcuni testimoni dissero che queste sbandate non ci furono), infine, quasi all’entrata curva, punta dritto contro il guard-rail alla sua sinistra. L’impatto, a circa 240 all'ora, è devastante: la gomma anteriore sinistra si stacca, il musetto striscia impercettibilmente (a causa della velocità con cui accade tutto) contro la barriera, poi la gomma anteriore di destra si stacca a sua volta di netto finendo in una buca probabilmente scavata in precedenza dai tifosi sotto il guard-rail, la buca è in corrispondenza di un paletto di sostegno che fa da perno, l'avantreno si disintegra all'istante e la vettura senza controllo effettua numerosi testacoda nella sabbia all’esterno della curva dove alla fine si ferma. La scena che si presenta ai soccorritori è terrificante: Rindt è quasi disteso sul sedile e le sue gambe sono esposte, perché la scocca anteriore non c’è più. Nell’impatto si è fratturato il piede sinistro ma soprattutto ha subito una ferita mortale al torace causata dal piantone dello sterzo, contro cui Rindt va a sbattere, inoltre le cinture di sicurezza si rompono ferendolo al collo. Trasportato d’urgenza all’Ospedale Niguarda a Milano, non si poté far altro che accertarne il decesso. La causa dell’incidente è ancora incerta: una delle ipotesi più accreditate è che si sia spaccato l'albero che collega l'impianto frenante alle ruote anteriori facendo perdere completamente il controllo della vettura al pilota.


In occasione del Gran Premio di Gran Bretagna a Brands Hatch di un mese e mezzo prima, vinto nelle ultimissime battute ancora una volta ai danni di Brabham, rimasto senza benzina, Rindt dichiarò: “Quest’anno ho troppa fortuna, comincio a essere preoccupato”. Si rivelò una tragica profezia. Il 28enne austriaco, al momento della morte e con quattro gare ancora da disputare, aveva 20 punti di vantaggio su Brabham, 25 su Denny Hulme, che sulla sua McLaren assistette inorridito all’incidente in quanto subito alle spalle di Rindt e venendo anche sfiorato dalla gomma anteriore sinistra impazzita della Lotus, e 26 su Stewart e sul portacolori della Ferrari Jacky Ickx. Sarà quest’ultimo, già vincitore in Austria davanti al compagno di squadra Clay Regazzoni, a recuperare la maggior parte del distacco accumulato da lui e da tutti gli altri nei confronti di Rindt. Il belga primeggerà infatti anche in Canada e in Messico, sempre con il ticinese secondo, ma si ritirerà a Monza, dove a vincere per la prima volta in Formula 1 sarà proprio Regazzoni, 31 anni compiuti, guarda la coincidenza, proprio 24 ore prima e letteralmente portato in trionfo a fine corsa dai tifosi del Cavallino impazziti per la gioia e completamente dimentichi della tragedia del sabato. La gara che però assegnerà matematicamente a Rindt il titolo postumo sarà la penultima di quell’anno, il Gran Premio degli Stati Uniti del 4 ottobre a Watkins Glen, proprio dove Jochen aveva vinto la sua prima corsa iridata dodici mesi prima, e ancora una volta si tratterà di un primo successo in carriera: a trionfare sarà infatti quello che era diventato di fatto il sostituto di Rindt, il giovane brasiliano Emerson Fittipaldi. Ickx si dovrà accontentare del quarto posto e dopo la doppietta Ferrari in Messico Rindt risulterà vincitore del titolo con 5 punti su Ickx e 12 su Regazzoni. Una stagione tragica ma che andrà giustamente a premiare colui che nell'arco dell'anno era stato nettamente il più forte.