martedì 21 aprile 2020

Quando la Formula 1 è donna


Sono cinque le donne che, nella storia della Formula 1, hanno provato a disputare le prove di qualificazione di un Gran Premio. Solamente due sono poi riuscite a partecipare a una gara, ed erano entrambe italiane. Ecco le cinque protagoniste che hanno colorato di rosa la massima categoria dell’automobilismo.

MARIA TERESA DE FILIPPIS (Napoli, 11 novembre 1926 - Scanzorosciate, 8 gennaio 2016)
Ultima di cinque figli di un nobile napoletano e di madre spagnola, fu soprannominata “Pilotino” per il suo fisico minuto. Fece il suo debutto a 22 anni, su una comune Fiat 500 Topolino, in una gara di 10 km tra Salerno e Cava de’ Tirreni, e la vinse, smentendo i suoi fratelli, che l’avevano spinta a gareggiare dicendole che non sarebbe mai stata capace di andar forte. Negli anni successivi fu, tra le altre cose, seconda nel campionato italiano per vetture Sport e venne notata dalla Maserati, con le cui vetture disputò gare in salita e di durata e arrivò seconda nel Gran Premio di Napoli del 1956. Nel 1958 arrivò la grande occasione della Formula 1: la Maserati si era appena ritirata dalle competizioni ma consentì ai privati di gareggiare con le vetture della casa del tridente che possedevano. Tra questi c’era Maria Teresa, che dopo uno splendido quinto posto nel Gran Premio di Siracusa fuori campionato del 13 aprile sulla sua Maserati 250 F, ebbe la chance di qualificarsi per il Gran Premio iridato di Monaco del 18 maggio ma non ci riuscì, piazzandosi ventitreesima e rimanendo fuori dai 16 che presero parte alla corsa. Passarono quattro settimane e finalmente in Belgio riuscì a prendere il via, qualificandosi diciannovesima e concludendo la corsa decima e ultima di quelli arrivati al traguardo. Al successivo Gran Premio di Francia le fu impedito di gareggiare dal direttore di corsa con queste parole: “L’unico casco che possono mettersi in testa le donne è quello del parrucchiere”. In quella gara perse la vita sulla sua Ferrari Luigi Musso, uno dei migliori piloti italiani dell’epoca, che fino a non molto tempo prima era stato il suo compagno. Maria Teresa tornò in pista in Portogallo e a Monza, qualificandosi entrambe le volte in ultima posizione: quindicesima nella prima occasione, ventunesima nella seconda. Sia a Oporto sia a Monza dovette ritirarsi per problemi al motore, in Portogallo al settimo giro, sul circuito brianzolo a 13 tornate dalla fine quando era incredibilmente in quinta posizione. Nella stagione successiva ci provò di nuovo a Montecarlo, stavolta al volante di una Porsche del team Behra-Porsche RSK, ma ancora una volta, classificandosi ventunesima, non riuscì a qualificarsi tra i 16 eletti. Poi, il 1° agosto 1959, il suo titolare, il francese Jean Behra, morì tragicamente sul velocissimo circuito dell’Avus in una gara di contorno del Gran Premio di Germania. Quello fu solo l’ultimo collega di una lunga serie che Maria Teresa dovette piangere, pertanto decise che ne aveva abbastanza e smise di correre. Rimarrà sempre nella storia della Formula 1 come la prima donna che abbia preso il via in un Gran Premio iridato, chiudendo la carriera con tre corse disputate valide per l’iride, in un’epoca tra l’altro in cui il maschilismo e i pregiudizi nei confronti delle donne nel mondo dei motori erano molto più accentuati di quanto già non lo siano adesso.

LELLA LOMBARDI (Frugarolo, 26 marzo 1941 - Milano, 3 marzo 1992)
Nata in un piccolo centro in provincia di Alessandria, figlia di un macellaio, Maria Grazia Lombardi, per tutti Lella, è attratta dalla velocità fin da piccola. Inizia a correre nei kart, poi nel 1965 guida la sua prima vettura nella Formula Monza, nel 1968 è seconda nel campionato italiano di Formula 3 dietro a Franco Bernabei, quindi nel 1970 trionfa nella Formula 850 italiana vincendo quattro gare su dieci. Nel 1971 vince il campionato messicano di Formula Ford e nel 1974 gareggia in Formula 5000 con una Lola T330 Chevrolet finendo quinta nella classifica finale. Grazie a questi risultati si presenta con una Brabham BT42 del team privato Allied Polymer Group, alle qualificazioni del Gran Premio di Gran Bretagna del 1974 sul circuito di Brands Hatch, dove quattro mesi prima è stata quattordicesima nella Corsa dei Campioni, ma non riesce a qualificarsi, dovendosi accontentare del ventinovesimo posto. Curiosità: la vettura sulle fiancate e sul muso ha un numero quantomeno inconsueto, il 208. L’anno successivo alla terza gara del campionato il team ufficiale della March le affida un modello 741 dell’anno precedente, col quale affianca Vittorio Brambilla, che proprio a Kyalami fa debuttare la 751, la piemontese si qualifica nell’ultima posizione utile, ventiseiesima, ma poi il suo debutto in gara è amaro perché al 24° giro deve abbandonare per problemi all’alimentazione. Dal Gran Premio successivo, quello di Spagna, Lella può disporre anche lei della nuova 751 ma, al contrario di Brambilla, sponsorizzato dalla Beta Utensili, lei come marchio sulla vettura ha la Lavazza. Con l’eccezione del Gran Premio di Monaco, dove non si qualifica, e del Gran Premio degli Stati Uniti, dove si presenta con una Williams FW04 del team di patron Frank qualificandosi ma non prendendo il via per noie all’accensione, Lella disputerà tutte le restanti gare stagionali con quella vettura sponsorizzata dal famoso caffè. Ed è proprio nella prima di quelle gare che l’alessandrina scrive la storia della Formula 1. E’ il 27 aprile 1975: nella corsa spagnola sul circuito cittadino del Montjuich, Barcellona, si verificano moltissimi incidenti, il più grave dei quali al 25° giro, quando il tedesco Stommelen vola in mezzo alla folla uccidendo quattro persone e ferendone numerose altre, compreso se stesso. La gara prosegue per altri quattro giri, poi viene interrotta al 29° dei 75 in programma e ai primi sei classificati vengono assegnati i punteggi ai quali hanno diritto ma dimezzati. In quel momento Lella è sesta proprio dietro a Brambilla e il piazzamento le vale non uno ma mezzo punto, che la fa comunque diventare la prima, e tuttora unica, donna, a essere entrata nella classifica del campionato del mondo di Formula 1. Nelle gare successive si ritira quattro volte ma arriva anche al traguardo le altre quattro volte e il miglior piazzamento lo ottiene in Germania, sul Nordschleife del Nurburgring, dove sfiora di nuovo l’impresa di arrivare in zona punti chiudendo settima. In quell’anno arrivò anche dodicesima all’International Trophy di Silverstone, gara fuori campionato. Inizia il 1976 ancora con una March sponsorizzata Lavazza ma modello nuovo, 761, e sul circuito brasiliano di Interlagos si classifica quattordicesima. Viene poi rimpiazzata da Ronnie Peterson e passa quindi a metà stagione al team RAM Racing al volante di una Brabham BT44B, motorizzata Ford Cosworth esattamente come le altre che ha guidato nella massima categoria, con la quale farà altri tentativi di disputare una gara del Circus: in Gran Bretagna e in Germania non si qualifica, mentre in Austria ci riesce e chiude il suo 12° e ultimo Gran Premio di Formula 1 in dodicesima posizione. Già dal 1975 Lella si era dedicata alla categorie sport e negli anni successivi al suo abbandono del Circus si toglierà delle belle soddisfazioni, in particolare nel 1979, quando vinse la 6 ore di Pergusa e la 6 ore di Vallelunga, nel 1977 riuscì addirittura a gareggiare in NASCAR a Daytona. Ritiratasi nel 1988, fondò un suo team, il Lombardi Autosport. Morì di cancro 23 giorni prima di compiere 51 anni.

DIVINA GALICA (Bushey Heath, Hertfordshire, Gran Bretagna, 13 agosto 1944)
Nata vicino a Watford, il primo sport in cui si cimenta ad alto livello questa ragazza inglese è lo sci alpino: rappresenta la Gran Bretagna in tre edizioni dei Giochi olimpici invernali, Innsbruck 1964, Grenoble 1968 e Sapporo 1972 gareggiando sempre in tutte le specialità, discesa, gigante e slalom, e finendo settima a Grenoble e ottava a Sapporo tra le porte larghe, mentre nella neonata Coppa del Mondo arriva 15 volte nelle prime dieci finendo terza in discesa a Badgastein e a Chamonix nel 1968, il suo anno migliore, nel quale si piazza tredicesima nella classifica generale e sesta in quella di discesa. Dopo i Giochi giapponesi abbandona lo sci e nel 1974, invitata a una gara automobilistica per celebrità, stupisce tutti per il suo talento. Comincia quindi una seconda carriera partendo dai kart e arrivando in breve tempo in Formula 2 e in Formula 1. Nella massima categoria tenterà tre volte di qualificarsi per un Gran Premio, sempre con vetture motorizzate Ford Cosworth, senza mai riuscirci. In Gran Bretagna nel 1976, più precisamente a Brands Hatch, dove c’è anche Lella Lombardi (unica volta di due donne in contemporanea nello stesso weekend di una gara iridata) si presenta con una Surtees TS16 del team Shellsport Whiting e scende in pista col numero 13, che ha nomea di portare sfortuna e col quale nessuno vuole mai gareggiare. Divina è ventottesima e seconda dei non qualificati ma entra a far parte di quella ristretta cerchia di sette persone che hanno partecipato alle Olimpiadi e a un weekend di Formula 1. L’anno successivo con la Surtees TS19 sempre dello stesso team è dodicesima nella Corsa dei Campioni di Brands Hatch fuori campionato. Nei primi due Gran Premi del 1978 in Argentina e Brasile farà altri due tentativi con una Hesketh 308E sponsorizzata Olympus (stavolta col numero 24) ma il sogno di disputare una gara iridata resta per lei una chimera: nelle due qualificazioni è sempre ultima, ventisettesima e ventottesima. Chiusa la parentesi non certo esaltante in Formula 1, oltre a cimentarsi ancora per un paio d’anni nel campionato britannico, gareggerà in Formula Renault, in Formula Vauxhall Lotus e, con buoni risultati, con le vetture sport (fu settima nelle 1000 km di Brands Hatch e di Suzuka) e coi camion. Nel 2000 ha corso nella American Les Mans Series prima di ritirarsi definitivamente dall’attività diventando istruttore delle Skip Barber Racing Schools per poi diventare direttore di iRacing.com. Ma nel frattempo si era tolta lo sfizio di tornare a gareggiare con gli sci: nel 1992 ai Giochi di Albertville, alla bella età di 47 anni, si cimentò nello sci di velocità, sport dimostrativo di quell’edizione olimpica, classificandosi diciannovesima, e successivamente diventò la prima britannica a superare i 200 km/h sugli sci.

DESIRE’ WILSON (Brakpan, Gauteng, Sudafrica, 26 novembre 1953)
Il campionato del mondo di Formula 1 è stato solo un breve capitolo nella carriera di questa ragazza sudafricana che si è cimentata principalmente nelle gare di durata e nella Formula CART americana. Dopo aver ottenuto buoni risultati nelle categorie minori sudafricane, tra cui la vittoria della Formula Ford nel 1975, Desiré arriva in Europa e nel 1979 arrivò a essere la prima e unica donna a vincere una gara con una monoposto di Formula 1, il 7 aprile 1980 a Brands Hatch, quando si impose nell’Evening News Trophy, gara della Formula Aurora, finendo davanti a gente come Eliseo Salazar e Giacomo Agostini, sì, proprio il 15 volte iridato di motociclismo. Il 1980 fu il suo anno d’oro, visto che col britannico Alain de Cadenet vinse anche la 1000 km di Monza e la 6 ore di Silverstone. Arrivò quindi il giusto premio: la partecipazione a un weekend iridato, dopo che l’anno prima aveva concluso al nono posto la Corsa dei Campioni di Brands Hatch, lo stesso circuito sul quale scese in pista con una Williams FW07 Ford Cosworth per le qualificazioni del Gran Premio di Gran Bretagna 1980, nelle quali fu ventisettesima e non riuscì a guadagnarsi il pass per la gara. Il 7 febbraio 1981 corse a Kyalami il Gran Premio del Sudafrica che però non fu considerato valido per il campionato del mondo a causa della guerra per il controllo della Formula 1 tra la Federazione Internazionale (FISA) di Jean-Marie Balestre e l’associazione costruttori (FOCA) di Bernie Ecclestone. La gara fu boicottata dalle scuderie italiane, Ferrari, Alfa Romeo e Osella, e francesi, Renault e Ligier, più vicine alla federazione, Desiré sul circuito di casa fu sedicesima nelle qualificazioni con una Tyrrell 010 e poi in gara si ritirò per un testacoda avendo comunque fatto una buona prestazione sotto la pioggia, attirando così l’attenzione di patron Ken, che le offrì ulteriori possibilità di guida nel Circus, ma la mancanza di sponsor e la situazione politica in Sudafrica le negarono queste chance. Negli anni successivi si dedicò alle gare con vetture sport finendo settima alla 24 ore di Le Mans del 1983 e iniziò a gareggiare sui circuiti nordamericani fallendo la qualificazione nella 500 miglia di Indianapolis per tre volte dal 1982 al 1984 ottenendo il suo miglior risultato a Cleveland, dove fu decima nel 1983.

GIOVANNA AMATI (Roma, 20 luglio 1959)
Secondogenita del facoltoso industriale cinematografico Giovanni e dell’attrice Anna Maria Pancani, Giovanna, con tutto il rispetto, più che per la sua carriera automobilistica è stata più famosa nel nostro paese per essere stata rapita a 18 anni il 12 febbraio 1978 e poi liberata all’alba del successivo 27 aprile dopo il pagamento di 800 milioni di lire, e soprattutto per essersi innamorata del capo dei suoi carcerieri, Daniel Nieto. Comincia a correre nella Formula Abarth nel 1981, nel 1985-1986 è nella Formula 3 italiana e nel 1987 inizia a gareggiare in Formula 3000 ottenendo come miglior risultato un settimo posto sul circuito Bugatti di Le Mans nel 1991. La romana effettua alcuni test per la Benetton e nel 1992 viene ingaggiata dalla Brabham, scuderia con un passato glorioso ma arrivata in quel momento al punto più basso della sua storia, tanto da abbandonare le corse a due terzi dell’annata per gravissime difficoltà finanziarie. Giovanna diventa quindi la terza italiana su cinque donne totali a partecipare alle prove di qualificazione di un Gran Premio iridato. Con una vecchia BT60B motorizzata Judd prova a guadagnarsi il biglietto per le prime tre gare iridate della stagione, Sudafrica, Messico e Brasile, ma non ci riesce mai, arrivando sempre trentesima e ultima, e venendo sostituita da Damon Hill a partire dal Gran Premio di Spagna. Chiusa la poco felice esperienza in Formula 1, nel 1993 vince la Porsche Cup riservata alle donne, negli anni successivi ottiene buoni risultati nel Ferrari Challenge, quindi si cimenta nelle gare di durata partecipando alla 12 ore di Sebring e alla 1000 km di Monza. Nel 1999 è terza nella classifica della classe SR2 della Sports Racing World Cup e poi diventa commentatrice sia per la tv sia per riviste di motori.

Ci sono state altre donne che negli ultimi vent’anni hanno effettuato test su vetture di Formula 1 ma tra queste un posto speciale lo ha Susie Wolff, Stoddart da nubile e dal 2011 moglie di Toto Wolff, attuale grande capo del team Mercedes. La scozzese, nata il 6 dicembre 1982, in qualità di test driver della Williams motorizzata Mercedes è stata protagonista della prima sessione di prove libere in quattro Gran Premi, Gran Bretagna e Germania 2014 e Spagna e Gran Bretagna 2015, ottenendo il miglior risultato nell’ultima occasione, un tredicesimo posto.

Foto: Tony Duff / Getty Images

domenica 12 aprile 2020

Addio a Stirling Moss, re senza corona della Formula 1


Per colpa del monopolio mediatico del Coronavirus mi stava sfuggendo la notizia della scomparsa di uno dei più grandi miti della mia infanzia, delle cui imprese e delle cui sfortune leggevo da bambino per giornate intere. A 90 anni se n’è andato il più grande pilota tra quelli che non hanno mai vinto il titolo mondiale di Formula 1, Stirling Moss. Nato a Londra il 17 settembre 1929, debuttò nel Circus a soli 21 anni, giovanissimo per quei tempi, al Gran Premio della Svizzera del 1951, seconda edizione del mondiale (e non la prima, come ha scritto qualcuno), al volante di una HWM, con la quale arrivò ottavo, piazzamento che con le regole attuali gli avrebbe immediatamente garantito la zona punti, mentre allora li prendevano solo i primi cinque e, pochi anni dopo, i primi sei.

Fu l’unica sua gara di quell’anno nella massima categoria e, dopo due stagioni di apprendistato alla guida di varie vetture inglesi, nel 1954 approda alla Maserati, con la quale si mette subito in luce arrivando terzo in Belgio ma venendo perseguitato dalla sorte nelle altre corse dell’annata. Nel 1955 la grande occasione: passa allo squadrone Mercedes capitanato da Juan Manuel Fangio, del quale è magnifica spalla e che gli fa vincere, per ordine di scuderia, il Gran Premio di Gran Bretagna ad Aintree. A fine anno è secondo nel mondiale dietro al superfuoriclasse argentino.

La Mercedes lascia le corse ma nel 1956 e nel 1957 la musica non cambia: Fangio è campione e Moss è secondo, il primo anno il sudamericano approda alla Ferrari e Moss torna alla Maserati vincendo a Montecarlo e a Monza, nel 1957 è Fangio a guidare la vettura della casa del tridente e a conquistare il suo quinto titolo iridato, il quarto consecutivo, mentre Stirling corre per la Vanwall, la prima vettura britannica della storia in grado di lottare per l’iride e vince ancora a Aintree (con la vettura del compagno Tony Brooks), a Pescara e a Monza.

Il 1958 si apre con la strepitosa vittoria di Moss a Buenos Aires con una rivoluzionaria Cooper a motore posteriore della scuderia di Rob Walker, unico team privato ad aver vinto tutti i suoi Gran Premi in Formula 1 con vetture non di propria produzione, del quale farà la fortuna negli anni successivi. Quando comincia la stagione europea Moss torna alla Vanwall e vince a Zandvoort, in Olanda, e in Portogallo. Rimane in corsa per il titolo fino all’ultima gara, il Gran Premio del Marocco, che vince, ma il connazionale Mike Hawthorn, sulla Ferrari, arriva secondo e gli strappa la corona mondiale per un punto costringendolo per la quarta volta consecutiva alla piazza d’onore, malgrado quattro vittorie contro una sola del rivale. Magra consolazione, almeno per quei tempi, la Vanwall si porta a casa la prima edizione del mondiale costruttori.

Per motivi di salute il proprietario Tony Vandervell ritira la scuderia dalle competizioni e Moss torna al team Walker, col quale corre per le successive tre stagioni, nel 1959 con una Cooper, tranne due Gran Premi disputati con la BRM, e nel 1960 e nel 1961 con una Lotus. Chiuderà terzo la classifica mondiale in tutte e tre le annate vincendo due gare per ogni stagione, la prima in Portogallo e a Monza, la seconda a Montecarlo, primo successo in assoluto per le vetture di Colin Chapman, e negli Stati Uniti, e la terza ancora a Montecarlo e al Nurburgring, in Germania, sul leggendario Nordschleife. Nel corso del 1960 deve saltare tre gare a causa di un incidente in prova sull’allora ultraveloce pista belga di Spa-Francorchamps, nel quale si frattura le gambe, tre vertebre e il naso.

Un incidente ancora più grave, molto più grave, mise bruscamente fine alla sua carriera a Goodwood il lunedì di Pasqua del 1962, il 23 aprile, durante il Glover Trophy. Proprio quell’anno il fuoriclasse inglese aveva raggiunto un accordo con la Ferrari per gareggiare con una macchina del cavallino rampante per il team Walker, ma il destino decise purtroppo diversamente. In seguito allo schianto Moss finì in coma per un mese e rimase parzialmente paralizzato dal lato sinistro del corpo per sei mesi. L’anno successivo tornò in pista per effettuare dei test con una Lotus ma non era più quello di prima e decise pertanto che era ora di smettere con le gare, facendo solo sporadiche apparizioni negli anni successivi.

La carriera in Formula 1 di Moss si chiuse pertanto a 32 anni, nel Gran Premio degli Stati Uniti a Watkins Glen. Ha vinto 16 Gran Premi su 66 iniziati, finendo altre 8 volte sul podio, ha conquistato 16 pole position e fatto segnare 19 volte il giro più veloce in gara. Ma soprattutto ha chiuso per sette volte consecutive sul podio della classifica del mondiale piloti senza mai vincerlo: un record difficilmente eguagliabile. Ma Moss non fu solo un grandissimo pilota di Formula 1: vinse per ben sette volte il Tourist Trophy automobilistico (1950, 1951, 1955, 1958, 1959, 1960 e 1961), la 12 ore di Sebring nel 1954 su OSCA in coppia con Bill Lloyd, la Targa Florio su Mercedes nel 1955 in coppia con Peter Collins e, sempre nel 1955 su Mercedes, trionfò nell'altra grande corsa italiana su strada, la Mille Miglia, della quale detiene la media oraria record, in coppia col pilota-giornalista Denis Jenkinson.

Un pilota a tutto tondo insomma, vincente in qualunque condizione, su qualsiasi vettura e in qualunque categoria abbia militato, si sia trattato di gare su strada, su pista, Gran Premi o gare di durata, ma quell’appellativo di “re senza corona” gli rimarrà per sempre. Tuttavia, come disse lui stesso in un’intervista a Mario Donnini pubblicata nel libro “Formula 1 Storie di piccoli e grandi eroi 1950-1979”, “faccio parte di una categoria a sé. Ed è meglio così”. Altro che eterno secondo: Stirling Moss è stato un vero numero uno. Dentro e fuori le piste.

Foto: autosport.com