domenica 11 settembre 2022

Continuano a uccidere uno sport già morto. Basta con questa Formula 1!


Il 3 maggio 1994 la Gazzetta dello Sport, come potete vedere nella foto che apre questo pezzo, faceva un titolo in prima pagina involontariamente profetico: "Con Senna muore questa Formula 1". E il sottotitolo era questo: "Sicurezza subito o non si corre". Bene, da quel giorno si è abusato delle misure di sicurezza (l'unica davvero provvidenziale, oltre ai telai più sicuri delle vetture, è stato l'halo, la protezione per la testa dei piloti) e si è gradualmente smesso di correre. O almeno, di correre come si era sempre corso fino al Gran Premio di San Marino 1994 a Imola, fino a quel 30 aprile 1994, quando morì il più dimenticato dei piloti caduti del Circus, Roland Ratzenberger, e fino soprattutto all'1 maggio 1994, quando morì Ayrton Senna, il campione dei campioni.


Subito dopo, invece di rallentare le vetture, si cominciò a rallentare i circuiti, o almeno quelli che non erano già stati rallentati come Monza o Silverstone. Si cominciò proprio da Imola, dove vennero inserite due chicane al Tamburello e alla Villeneuve, le due curve dove erano morti Senna e Ratzenberger, quindi si continuò con Spa-Francorchamps, il cui circuito originario di 14 km era già stato bannato, così come altri gioielli come il Nordschleife, Brands Hatch e altri, inserendo un'orrenda chicane al passaggio dell'Eau Rouge-Raidillon che fortunatamente durò solo un anno, inoltre la prima chicane di Monza, nel 2000, venne ulteriormente rallentata, così come la leggendaria seconda curva di Lesmo, già modificata nel 1995.


La demolizione della storia della Formula 1 continuò con la vera e propria distruzione di circuiti come Silverstone e Hockenheim, che vennero completamente stravolti in nome della sicurezza. In parole povere, queste piste vennero equiparate a circuiti orripilanti, disegnati tutti dalla stessa mano, come per esempio quello di Sochi, o quelli di Sepang e Istanbul (i meno peggio), Abu Dhabi, Jeddah, Shanghai, Singapore, Baku: tutti posti in cui la Formula 1 andò solo per interessi commerciali.


Poi il programma delle qualifiche, che ai tempi di Senna, quando venivano chiamate ancora qualificazioni o prove ufficiali, prevedevano un'ora al venerdì e un'ora al sabato, venne limitato al sabato e quindi, con ulteriori stravolgimenti, si è arrivati al sistema a eliminazione di oggi, fatto solo per aumentare lo spettacolo televisivo. Quindi sono stati aboliti i test privati tra un Gran Premio e l'altro per diminuire i costi, essendo notoriamente la Formula 1 un ambiente in cui arrivano solo dei pezzenti: conoscete qualche altro sport dove è proibito allenarsi tra una gara e l'altra? Io no.


E che dire dell’obbligo, gradualmente introdotto, di utilizzare almeno due mescole diverse di gomme per ogni Gran Premio, per dare più importanza alle fermate ai box e alle strategie invece che alla battaglia in pista, purché sana? Come non ricordare poi i track limits, i limiti del tracciato superando i quali, anche se non ne trae vantaggio, a un pilota viene tolto il tempo di quel giro, che magari gli ha fruttato la pole, e la relativa abolizione della ghiaia sui nuovi circuiti, sempre naturalmente in nome della sicurezza, dove il pilota andava a impantanarsi se arrivava troppo largo in una curva? Come non ricordare anche la reintroduzione, dopo più di 60 anni, del punto aggiuntivo per il giro più veloce in gara, con i piloti con le vetture più performanti che si fermano all’inizio del penultimo giro a cambiare una volta supplementare le gomme per tentarlo nell'ultimo strappandolo così ai diretti avversari?


Infine, le due cose più meravigliosamente demenziali, la cui demenza si è evidenziata alla massima potenza nel Gran Premio d'Italia concluso poche ore fa. Invece di penalizzare i piloti sulla griglia di partenza per qualche manovra scorretta che effettuavano in pista, si è deciso di farlo fissando un tetto massimo di motori da poter utilizzare anche nel corso della stagione, sempre per l'illusoria riduzione dei costi ma anche per avere più spettacolo in pista con più sorpassi da parte dei più forti costretti alla rimonta se penalizzati, ma che vengono aiutati da più di dieci anni dal DRS, l'ala mobile che può essere spalancata per scavalcare chi ci precede purché il distacco sia inferiore al secondo: un meccanismo che consente anche a chi non sarebbe mai stato in grado di effettuare sorpassi in condizioni normali di sentirsi un fuoriclasse.


Ma torniamo al tetto di propulsori utilizzati in un anno, attualmente fissato a tre, (un numero miserrimo, come se i fornitori di power unit, come si chiamano adesso, non ne producano almeno il decuplo in un anno), superato il quale il povero pilota viene penalizzato in griglia partendo dal fondo, o di 10 posizioni, o di 5, a seconda della rilevanza della sostituzione delle parti del motore, e questo riguarda anche gli elementi del cambio. A Monza ieri sono stati ben nove i piloti penalizzati e fino a tarda sera non si sapeva ancora quale sarebbe stata la griglia di partenza del Gran Premio d'Italia a causa delle diverse interpretazioni, anche da parte degli stessi team, di un regolamento scritto con i piedi, per non dire con qualcos'altro. E fortuna che oggi, prima del Gran Premio, qualcun altro non ha deciso di sostituire alcune parti meccaniche della sua vettura, altrimenti la griglia sarebbe stata nuovamente rivoluzionata. La domanda quindi è: ma cosa si fanno a fare le qualifiche se il risultato viene completamente stravolto da queste norme?


Dulcis in fundo, la safety-car, ma prima un accenno alla bandiera rossa. Premesso che quando, fino a qualche anno fa, la gara veniva interrotta con questo vessillo, i tempi dei concorrenti prima dell'interruzione venivano sommati a quelli dopo l'interruzione, ma adesso non più: si parte o dalla griglia, o dai box dietro la safety-car, nell'ordine in cui i piloti erano prima dell'interruzione, ed è come se la gara ricominciasse da zero, come a Baku l'anno scorso, quando la ripartenza fu dietro la safety-car per un giro e poi solamente i due giri successivi contarono di fatto per il risultato finale, col cronometro che però ha continuato a correre anche per il tempo in cui la gara era interrotta, abbassandone così notevolmente la media oraria.


Ma dicevamo, appunto, della safety-car, introdotta in modo disastroso per la prima volta in Canada nel 1973, generando una confusione tale che tuttora non si sa con assoluta certezza se quella gara fu realmente vinta da colui che venne proclamato vincitore. Della vettura di sicurezza, per fortuna, non si parlò più per vent'anni, e l'1 maggio era stata reintrodotta da un anno quando ricomparve proprio in quel Gran Premio di San Marino in cui morì Senna poco prima dello schianto fatale del brasiliano, perché gli addetti alla pista ripulissero i detriti lasciati dalle vetture di JJ Lehto e Pedro Lamy, coinvolti in un incidente in partenza. Da allora ha infestato sempre di più le gare di Formula 1, falsandone decine e permettendo sempre meno ai piloti di gareggiare sul serio. Adesso per esempio entra in azione ogni volta che una vettura viene parcheggiata a bordo pista, e addirittura con la pioggia non si può quasi più correre, come dimostra la buffonata di Spa-Francorchamps, con tre giri tre tutti dietro la safety-car e con la classifica finale della "gara" stilata tenendo conto solamente del primo giro effettuato.


Quello, tra i tanti, sembrava il punto più basso raggiunto dalla Formula 1 nella sua storia recente, proprio nella stagione, quella del 2021, che molti smemorati considerano la più bella di sempre e che invece, oltre ai patetici ripetuti autoscontri tra Verstappen e Hamilton, ha visto obbrobri come quelli dei due giri finali a Baku citati prima o la ripartenza del Gran Premio d'Ungheria con solamente Hamilton posizionato sulla griglia mentre tutti gli altri piloti si erano fermati a cambiare le gomme dopo l'interruzione per un incidente multiplo alla prima curva, la stessa gara in cui Vettel, secondo, fu incredibilmente squalificato perché arrivato a fine gara con una quantità di benzina al di sotto del limite consentito, come se ci dovesse essere un limite per chi rischia di finire senza carburante.


Ma oggi, a Monza, è stata scritta un'altra pagina grottesca e ridicola. Daniel Ricciardo ha parcheggiato la sua auto in panne lungo il tracciato ed è entrata in scena la safety-car, ma non andando in pista davanti al leader Verstappen, bensì davanti a Russell, terzo in quel momento, con il risultato che si è perso tempo per far sì che fosse Verstappen a essere subito dietro a questa disgraziata vettura, e una volta che il campione del mondo è arrivato nella posizione corretta, i due doppiati che c'erano tra lui e Leclerc, secondo, non hanno potuto sdoppiarsi come avrebbero dovuto fare perché la gara stava ormai finendo e non c'era più tempo per farlo. Insomma, si è tornati indietro di 49 anni, a quel Gran Premio del Canada del 1973, quando il pilota della vettura di sicurezza sbagliò i tempi di entrata in pista perdendosi il leader della corsa.


Quindi la domanda ulteriore è: era proprio necessaria la safety-car? Secondo me, ma io sono ormai un vecchio nostalgico di quando le corse erano molto più semplici e lineari, senza cambi di gomme o rifornimenti programmati e tantomeno safety-car, e con bandiere rosse solo in casi limite, non avrei né mandato la safety-car né esposto la bandiera rossa: del resto, basta farsi un giro su Youtube per guardare decine di video di gare che continuavano come se nulla fosse con vetture ferme a bordo pista perfino a Montecarlo, o purtroppo con auto che bruciavano capovolte con il pilota intrappolato al di sotto della vettura, come il povero Williamson a Zandvoort 1973 (ma in quest'ultimo caso e anche in altri si trattava di cinismo estremo e di assenza totale di pietà umana, perché lo spettacolo doveva continuare), oppure di gare vinte da Stewart, Senna e Michael Schumacher sotto diluvi universali.


Ma se proprio si voleva mettere in sicurezza i piloti, per il terrore che la morte torni a colpire la Formula 1 e che aleggia sempre sul Circus come se questo non fosse uno sport pericoloso, non si poteva esporre la bandiera rossa e far riprendere la corsa per gli ultimi cinque o sei giri, azzerando tutti i distacchi in un modo meno indecente? Sicuramente ci sarebbe stata una conclusione migliore e sopratutto più equa di quella che c'è stata, ossia dietro la safety-car, oltretutto tenendo con il fiato sospeso il pubblico record accorso all’Autodromo, che così si sarebbe divertito fino alla fine e che invece ha pagato il biglietto per vedere i giri finali completamente neutralizzati. Ma la FIA, in un comunicato, ha detto che non c'erano le condizioni per esporre la bandiera rossa, pertanto si è ricorsi alla "pace car", come la chiamano in Nordamerica.


Qual è la morale di questo mio interminabile sproloquio? È che la Formula 1 ha riguadagnato anche in Italia tantissimi spettatori, specialmente tra i giovani, non certo grazie alle gare o alla telecronache, bensì alla serie tv Netflix “Drive to Survive”, ampiamente esagerata e romanzata e senza un filo cronologico serio, ma è uno sport che è solo l'ectoplasma del meraviglioso, e purtroppo anche tragico, sport che era fino a tutti gli anni ottanta e ai primi novanta del secolo scorso. È bene che i giovani nati, diciamo, negli ultimi trent'anni, studino un po' della storia dello sport che stanno guardando, perché sappiano quello che si sono persi, e che razza di eroi erano i suoi piloti, che dovevano guidare delle bare ambulanti difficilissime da tenere in strada.


Una volta letta un po’ di storia della Formula 1, potranno fare il confronto con quella di oggi, sempre che quella di oggi possa essere ancora chiamata sport, visto che dopo le morti di Ratzenberger e Senna, come ho cercato di raccontare, il Circus ha avuto, per fortuna, solo un pilota caduto in un weekend di gara, Jules Bianchi, ma è stato (il Circus) gradualmente ucciso con coltellate plurime che continuano a essere inferte anche adesso che ormai da tempo è un cadavere risorto come uno zombie, o un baraccone totalmente allo sbando, o come un videogioco, o come una serie tv, chiamatelo come vi pare. In altre parole, è una cosa con la quale lo sport ha ben poco a che fare. E gli addetti ai lavori che seguono la Formula 1, passato qualche giorno dall’ennesima vergogna, la seppelliscono, perché gli spettatori e gli appassionati vanno trattenuti e vanno tenuti nell’illusione che questa sia la più bella Formula 1 mai vista. E perfino io continuo a guardarla quasi per inerzia, per lavoro o forse solo per parlarne male in sproloqui come questo, ricordandomi bene di quello che era, ma prima o poi mi stuferò definitivamente.

sabato 3 settembre 2022

I primi 100 anni del circuito di Monza

Oggi si celebra una data storica per l’automobilismo italiano e mondiale: esattamente 100 anni fa, il 3 settembre 1922, veniva infatti disputata la prima gara all’Autodromo Nazionale di Monza, che divenne in quel momento, il quarto circuito permanente della storia degli sport motoristici, dopo quello di Milwaukee, quello britannico di Brooklands e il leggendario ovale di Indianapolis, l’unico rimasto insieme a quello brianzolo.

La costruzione di quello che veniva chiamato nelle cronache dell’epoca "Circuito di Milano", un po’ comicamente a pensarci oggi, fu decisa nel gennaio di quello stesso 1922 dall’Automobile Club proprio di Milano, per festeggiare il 25° anno dell’associazione, e come sede fu scelto il Parco di Monza. Questa decisione scatenò subito violente polemiche, che da parte degli ambientalisti durano ancora oggi ed è uno dei motivi, oltre che quello delle altissime velocità che vi si raggiungono specialmente in Formula 1 malgrado l’inserimento nel corso degli anni di svariate chicane, per i quali un impianto sportivo così importante viene messo in discussione un anno sì e l’altro pure.

Il progetto iniziale prevedeva una pista di 14 km ma alla fine, dopo che il 26 febbraio Felice Nazzaro, uno dei migliori piloti dell’epoca, e Vincenzo Lancia, il fondatore dell’omonima casa automobilistica, avevano tracciato il primo solco del futuro circuito, si dovette ripiegare, per il minore impatto ambientale, su un circuito di 5,5 km più un anello di alta velocità di 4,5 km per un totale di 10 km esatti. La Società Incremento Autodromo e Sport (SIAS) presieduta dal senatore Silvio Crespi si accordò con l’Opera Nazionale Combattenti, l’ente a cui era affiliato il Parco.

I lavori, eseguiti dall’Impresa Piero Puricelli, iniziarono solo il 15 maggio, dodici giorni dopo l’approvazione del progetto definitivo, a meno di quattro mesi dalla data prevista per la seconda edizione del Gran Premio d’Italia, che sarebbe stata ospitata dal nuovo impianto dopo che il 4 settembre 1921 si era disputata la prima edizione sul circuito stradale di Montichiari, in provincia di Brescia, di 17,3 km da ripetere 30 volte e che aveva visto la vittoria del francese Jules Goux su Ballot alla media di 144,736 km/h. I lavori, comprendenti le strade di comunicazione interne, le tribune e i box, furono completati in soli 110 giorni, un record per un impianto di quella portata. Nel frattempo, il 28 luglio, Nazzaro e Pietro Bordino, altro grande pilota, la percorsero per la prima volta al volante di due Fiat 501, mentre le auto da corsa vi fecero il loro primo ingresso di prova il 20 agosto.

E si arriva così al fatidico 3 settembre, quando, alla presenza del presidente del consiglio Luigi Facta (colui che cadrà meno di due mesi dopo a causa della cosiddetta "marcia su Roma") e sotto la pioggia per gran parte della sua durata, si disputa la gara riservata alle cosiddette Vetturette, 1500 cc di cilindrata e 450 kg di peso minimo. Alla partenza si schierano nove vetture, delle quali quattro sono Fiat, che dopo 60 giri e 600 km si classificano ai primi quattro posti. A vincere, dopo essere partito a sorte dalla prima fila (le qualifiche erano ancora di là da venire) è Bordino sul modello 501 per le corse, che completa la distanza in 4h28’38”6 alla media di 134,007 km/h. Secondo è Enrico Giaccone a oltre cinque minuti e mezzo, terzo Evasio Lampiano a quattro decimi da Giaccone, quarto Carlo Salamano a quasi sette minuti da Bordino. Quinto, a quasi un’ora dal vincitore, la prima vettura non Fiat, la Chiribiri di Maurizio Ramassotto.

Il successivo 8 settembre si corre il Gran Premio motociclistico delle Nazioni con la vittoria assoluta di Amedeo Ruggeri su Harley Davidson 1000 e con quella di Ernesto Gnesa con la Garelli 350 due tempi nella classe 500. Il 10 settembre è la volta del Gran Premio d’Italia, riservato a vetture da 2000 cc e peso minimo di 650 kg. Alla vigilia, durante il sabato delle prove libere, come si chiamerebbero oggi, c’è la prima delle tante tragedie di questo circuito, la morte di Gregor Kuhn, pilota dell’Austro-Daimler, e il ferimento del suo meccanico e compagno di abitacolo Robert Felder. La marca austriaca si ritira in segno di lutto dalla gara dell’indomani, prevista stavolta su 80 giri per 800 km totali, che dei 38 iscritti vede al via solo 8 piloti, tra i quali tre della Fiat e lo spagnolo Pierre de Vizcaya con la Bugatti, per la cui partecipazione pare siano state fatte pressioni sul costruttore, Ettore Bugatti, che non voleva gareggiare a causa della superiorità delle Fiat, per schierare il suo pilota al via, cosa che avrebbe comportato il rinvio della partenza dalle 9 alle 9,30 del mattino.

La vittoria, sotto gli occhi di una folla incredibile di centomila spettatori entusiasti, va, ancora una volta come una settimana prima e ancora una volta con la pioggia che ostacola lo svolgimento della corsa nella prima parte, a Bordino, su Fiat 804, in 5h43’13" alla media di 139,853 km/h, inferiore a quella fatta registrare da Goux un anno prima a Montichiari. Secondo a 8’22" è Nazzaro, compagno di squadra di Bordino. Solo un’altra vettura arriva al traguardo: quella dello spagnolo Pierre de Vizcaya su Bugatti, staccato di 4 giri e fermato dall'invasione di pista da parte del pubblico: nonostante non abbia completato tutti gli 80 giri in programma (non come oggi, quando se uno è doppiato viene comunque fermato dalla bandiera a scacchi), cosa che con i regolamenti di allora comporterebbe la squalifica, viene ugualmente classificato in terza posizione. La terza Fiat, quella di Giaccone, rimane ferma alla partenza con la trasmissione fuori uso.

Dopo queste prime tre gare, tutto il resto, come si dice, è storia, fatta di molte gare memorabili ma anche di tragedie. Il Gran Premio d’Italia da allora si è disputato ogni anno quasi ininterrottamente (quella che andrà in scena domenica 11 settembre sarà la sua novantaduesima edizione, l'ottantasettesima a Monza), tranne nel 1929 e nel 1930 in seguito alla tragica morte di Emilio Materassi e di 27 spettatori nel 1928, e poi dal 1939 al 1946 a causa della guerra. Inoltre, dal 1922 in poi, la gara si è sempre disputata a Monza tranne nel 1937 (Livorno), 1947 (Milano, per davvero!), 1948 (Torino, al Valentino), e infine nel 1980, quando a Imola si corse l’unica edizione del Gran Premio d’Italia non disputata a Monza a partire dalla nascita del campionato del mondo di Formula 1 nel 1950.

Il circuito è stato modificato innumerevoli volte, per esempio con la creazione della curva Parabolica al posto della vecchia doppia curva di porfido nel 1955, lo stesso anno in cui si corse per la prima volta sul rifatto anello di alta velocità, poi abbandonato, e poi con l’introduzione delle chicane, a poco dopo la metà del rettilineo dei box che inizialmente arrivava fino alla curva grande, ora curva Biassono, poi alla curva della Roggia e infine alla curva Ascari, precedentemente detta curva del Vialone. Queste chicane, pur snaturandone in nome della sicurezza le caratteristiche originali, rimaste bene o male quasi intatte fino al 1971 (anno della gara più bella della storia della Formula 1 con i primi cinque che tagliarono il traguardo nello spazio di 61 centesimi), non hanno tolto al circuito di Monza la nomea di vero e proprio “tempio della velocità”. E a dispetto di tutti coloro che già pochi anni dopo la sua nascita ne volevano la morte, a 100 anni è più vivo che mai.