Alcune considerazioni sparse su una giornata che poteva essere ancora più epocale di quello che è stata, e per me lo è stata comunque, dato che per la prima volta ho visto un italiano in finale a Wimbledon e una vittoria della Nazionale di calcio agli Europei. Non a caso la data è l’11 luglio, lo stesso giorno della vittoria del Mundial ’82. Le mie considerazioni saranno molto terra-terra, al contrario di quelle che fanno certi grandi giornalisti tuttologi che un giorno scrivono che Mancini è stato imbrigliato tatticamente da Luis Enrique e poi, il giorno della vittoria, saltano sul carro del vincitore dicendo che ha fatto tutto alla perfezione.
Atto primo. Tutti hanno detto che Matteo Berrettini esce a testa alta dal torneo di Wimbledon e dalla finale. Verissimo, e dobbiamo solo dirgli grazie per essere stato il primo tennista di casa nostra, donne comprese, nella finale di un singolare del torneo più importante del mondo. Tuttavia a me più di un rimpianto dopo quel primo set vinto rimane. Avrei voluto vederlo più aggressivo nei game di risposta e negli scambi dal fondo, ma è chiaro che stava giocando con la macchina sparapalline più efficace e noiosa di tutta la storia del tennis e quindi non era per nulla facile. Più in generale però avrei voluto vederlo più cattivo agonisticamente, tanto più perché era alla sua prima finale e non aveva niente da perdere. Ecco, io continuo ad avere l’impressione che un esponente della nuova generazione di tennisti, che avrebbero già dovuto vincere qualcosa di molto importante (Thiem, vincitore a New York ma solo per un incredibile autogol di Djokovic, Tsitsipas, Zverev, Medvedev, Shapovalov, per non parlare di Kyrgios, ma qui si entra nel campo psicanalitico pesante) quando incontra uno dei tre più vincenti della storia del tennis (Federer, Nadal e Djokovic), sia sempre un po’ in soggezione. Cosa che fino a 20-30 anni fa non accadeva quando un giovane rampante incontrava uno dei più forti del mondo. Era un altro tennis, è vero, tecnicamente e soprattuto come preparazione fisica, e si arrivava più presto a vincere dei Major, ma forse per questo i fuoriclasse di una volta avevano la sfrontatezza che i tennisti di oggi, giovani ma non così giovani, non hanno. Purtroppo Berrettini non fa eccezione a questa regola che vale per i tennisti contemporanei e sinceramente non vedo nemmeno tutti quei margini di miglioramento che tutti sono convinti che ci saranno: merita di stare tra i primi del mondo ma comincerà a vincere, forse, quando Djokovic, Nadal e Federer (che di fatto si sta già preparando) appenderanno racchetta e scarpe al chiodo. Ma ovviamente spero di sbagliarmi.
Atto secondo. In un paese composto da 60 milioni di commissari tecnici della Nazionale italiana non ricordo un ct che li abbia messi tutti d’accordo come Roberto Mancini, neanche Bearzot, che fino al primo gol di Rossi in Italia-Brasile veniva massacrato da tutti, ma proprio da tutti. Il trionfo europeo è soprattutto del Mancio, che ha risollevato e ridato gioco a una Nazionale che tre anni fa sembrava morta e sepolta. Non ricordo che qualcuno si sia lamentato delle formazioni titolari che ha messo in campo o delle sostituzioni che ha fatto, forse perché tutti sapevano che chi giocava, o chi entrava dalla panchina, si sarebbe fatto trovare pronto e avrebbe contribuito alla causa, vedi Bernardeschi in occasione dei rigori contro la Spagna e l’Inghilterra. Mancini ha costruito una Nazionale unita come forse nessun’altra, la cui forza è quella del gruppo, non quella dei singoli: solo Donnarumma è un autentico fuoriclasse, e forse, ma solo forse, lo sono anche Federico Chiesa, Jorginho e Spinazzola, per il resto alzi la mano chi considera, per esempio, Bonucci e Chiellini superiori a Cannavaro e Nesta, per non parlare del confronto quasi imbarazzante con Baresi e, prima ancora, con Scirea. Mancini è lo stesso, ma ben pochi se lo ricordano, che ha riportato al titolo della Premier League il Manchester City dopo 44 anni di digiuno, anche se da qualche anno sembra che a vincere il campionato inglese tra gli allenatori italiani sia stato solo Claudio Ranieri e non anche Ancelotti e Mancini prima di lui e dopo di lui Conte, solo perché per un anno, e solo per un anno, gli è andato tutto bene con una squadra di scappati di casa. Non amo autocitarmi, e non ho nemmeno le doti divinatorie dei grandi giornalisti tuttologi fini analisti di cui sopra, ma dalle storie che ho pubblicato subito dopo le prime partite di questi Europei contro la Turchia e contro la Svizzera e che potete leggere in fondo a questo post avevo intuito, pur non sbilanciandomi in pronostici, che questa Nazionale poteva andare molto lontano, più lontano ancora di quella dei Mondiali di Italia 90, che rimaneva per me l'ultima grande nazionale che abbia visto prima di questa. Sono contento, per una volta, di averci indovinato.
P.S.: e ora i Giochi di Tokyo, che spero siano un’altra grande avventura per lo sport italiano.
Nessun commento:
Posta un commento