venerdì 8 maggio 2020

50 anni fa usciva "Let It Be", l'ultimo album dei Beatles


L'8 maggio 1970 usciva "Let It Be", l'ultimo album dei Beatles, poco meno di un mese dopo l'annuncio, in data 10 aprile, dell'abbandono del più grande gruppo musicale di tutti i tempi (IMHO) da parte di Paul McCartney.

“Let It Be” non è certo uno dei più memorabili dei Fab Four, malgrado la presenza di perle come il brano che dà il titolo all’album o come “Across the Universe”, o come la trascinante “One After 909”, risalente ai tempi eroici della band, quando non aveva pubblicato nemmeno un disco, tuttavia per raccontare la gestazione del disco fino al parto di quel giorno di mezzo secolo fa ci vorrebbe un libro. Basterebbe dire che fu quasi completamente registrato nel 1969, prima del penultimo album dei quattro di Liverpool ad arrivare nei negozi di dischi, “Abbey Road”, quando la vita del gruppo era già piena di feroci litigi che provocarono, a turno, l’abbandono e poi il rientro di George Harrison e di Ringo Starr e l’insofferenza di John Lennon verso la voglia di leadership unica di McCartney. Ma soprattutto, l’arrivo di Phil Spector al posto dello storico produttore del gruppo George Martin diede il colpo definitivo a una quasi impossibile riunificazione dei quattro ormai ex amici per la pelle.

Il progetto del disco, inizialmente chiamato “Get Back”, era stato concepito da McCartney come un ritorno alle registrazioni dei dischi quasi interamente dal vivo e con limitate sovraincisioni che aveva caratterizzato l’inizio della carriera di Paul, John Lennon, George Harrison e Ringo Starr. Alcune di queste registrazioni finiranno nella versione definitiva del disco e sono tratte dal famoso concerto sul tetto degli Apple Studios in Savile Row, Londra, del 30 gennaio 1969 (la Apple era la casa discografica fondata dai Beatles nel 1968 dopo gli anni gloriosi alla EMI). Ma Spector tirò fuori il progetto dai cassetti in cui languiva da un anno, poiché nel frattempo i quattro si erano dedicati al progetto “Abbey Road”, e ne stravolse lo spirito: l’album alla fine si chiamò “Let It Be” e alcune canzoni furono infarcite di sovraincisioni, in particolare “The Long And Winding Road” fu riempita di cori femminili e orchestra, specialmente archi.

Il lavoro del produttore statunitense fu elogiato da Lennon e Harrison, che l’avevano voluto per far sì che pubblicasse un prodotto decente, ma fece andare su tutte le furie McCartney, che accusò Spector di aver completamente stravolto la sua “The Long And Winding Road”, e cercò di impedirne la pubblicazione, ma senza riuscirvi. Finiva in questo modo la storia di una band i cui componenti non potevano più lavorare insieme da parecchio tempo. Già il famoso “White Album” del 1968, pur essendo un capolavoro assoluto, era stato un lavoro di quattro ragazzi che tendevano sempre più a diventare dei solisti all’interno di un gruppo. Questa tendenza si accentuò con i successivi “Abbey Road” e “Let It Be”, per quanto il risultato finale del primo sia stato nettamente migliore rispetto a quello del secondo.

33 anni dopo lo scioglimento dei Beatles, Paul, su approvazione di Ringo, di George e di Yoko Ono, la vedova di John, pubblicò “Let It Be… Naked”, disco ripulito dalle sovraincisioni di Spector e con qualche canzone differente rispetto all’album pubblicato nel 1970. In questo modo i Beatles tornarono in vetta alle classifiche discografiche, per la gioia dei loro ancora numerosissimi fan, tra i quali ci sono anch’io. Sono sicuro che la mia decina di lettori mi perdonerà ma ho voluto deviare dai miei abituali argomenti sportivi (quelli sulla mia vita privata li ho ormai aboliti perché erano molto letti e mi divertivo molto a scriverli ma non erano graditi alla gente con cui avevo a che fare tutti i giorni) primo, perché sono 50 anni che il mondo è senza i Beatles e secondo, perché sentendo una loro qualsiasi canzone, salvo pochissime eccezioni, o un qualsiasi loro album, compreso il mediocre, per la loro media, “Let It Be”, mi torna immediatamente il buonumore.

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